Doppia corsia

Le contraddizioni spesso sono il sale della vita ma l’attuale stagione politica sembra davvero troppo salata. Il governo a firma dei ministri dell’Economia e delle Infrastrutture ha bocciato la preannunciata fusione tra la Società Autostrade e la spagnola Abertis. Le motivazioni sono molteplici ma, al fondo, sta il fatto che la normativa sulla privatizzazione delle autostrade impedirebbe la modifica dell’assetto azionario della società concessionaria e la presenza in essa di imprese di costruzione. Cosa che avverrebbe, per l’appunto, con la fusione Autostrade-Abertis. È vero che una cosa è la vendita di una società pubblica che sta sul mercato dei prodotti e dei servizi e altra cosa è la vendita di una società concessionaria di un monopolio naturale qual è la rete autostradale. Ma, allora, perché fu privatizzata la Società Autostrade? Eppure chi lo fece è lo stesso governo di oggi.
I lettori sanno che noi riteniamo che nella stagione della globalizzazione il ruolo pubblico ha ancora un suo significato nell’economia reale. In particolare nei settori strategici e a tecnologia avanzata o in quelli che vengono definiti monopoli naturali. Chi per anni ha contestato le nostre idee riscopre oggi il valore del «pubblico» limitando, così, le strategie finanziarie e industriali di società private come la Edizione Holding. C’è da chiedersi dove sono finiti gli ideologi del mercato e della libertà delle imprese. In questi mesi un’altra società concessionaria, l’italiana Lottomatica, ha acquistato una concessionaria pubblica americana, la Gtech. Dove sono finiti quelli che tessono le lodi del mercato americano e delle sue regole?
Sia chiaro, noi non contestiamo la decisione del governo anche perché non sappiamo con precisione le sue motivazioni e riteniamo, peraltro, che una concessionaria pubblica come la Società Autostrade non può far trovare lo Stato concedente davanti al fatto compiuto. Quel che ci preme, però, sottolineare è la schizofrenia di alcune forze politiche che ieri hanno scoperto il ruolo salvifico delle privatizzazioni, oggi scoprono l’interesse nazionale e il valore del «pubblico» nell’economia reale, domani chissà. Tutti possono sbagliare e ricredersi, naturalmente, ma non abbiamo ancora sentito una sola voce critica verso quelle massicce privatizzazioni della seconda metà degli anni Novanta che hanno svenduto l’Italia alla finanza internazionale con qualche modesta partecipazione nostrana.
È di queste ore la sollecitazione che alcuni ministri hanno fatto su Tronchetti Provera perché nel ventilato accordo con Rupert Murdoch garantisse comunque il controllo italiano della Telecom. Bene. Ma non sono le stesse forze politiche che hanno messo ieri nelle mani dei fondi americani la maggioranza dell’Eni e che hanno consentito il passaggio di mano della Omnitel, il secondo operatore della telefonia mobile, prima ai tedeschi della Mannesmann e poi agli inglesi di Vodafone? E come mai nessuno ha fiatato quando la Wind è passata dalle mani italiane dell’Enel a quelle dell’egiziano Sawiris, capo del gruppo Orascom?
Se non ricordiamo male quelle forze politiche che oggi scoprono il valore nazionale delle autostrade (noi siamo stati gli unici critici di quella vendita) hanno applaudito gli olandesi dell’AbnAmro quando hanno conquistato la Banca Antonveneta e i francesi di Bnp Paribas quando hanno preso il controllo della Bnl sostituendo in corsa gli spagnoli del Bbva. È vero che gli olandesi avevano come consulente Guido Rossi e gli spagnoli Mario Draghi che li ha convinti, appunto, a lasciare il passo ai francesi, ma forse è giunto il momento di fare chiarezza nelle linee di indirizzo sulla presenza del pubblico nella nostra economia reale. È bene ripetere che il mercato, con le sue regole, è neutrale rispetto alla natura della proprietà delle aziende come dimostrano i casi della Finmeccanica e della Fincantieri, leader mondiali nei rispettivi settori. Per quanto ci riguarda il rapporto tra sviluppo e democrazia impone una presenza parziale del pubblico nell’economia di mercato. Ma di questo parleremo in altra occasione.

Quello che non è tollerabile è questa altalena di indirizzo per cui si dice «no» alla fusione Autostrade-Abertis e poi si vogliono vendere altre quote dell’Eni o dell’Enel, si dice «no» al controllo straniero della Telecom e nel frattempo si consegna parte rilevante del nostro sistema del credito al controllo della finanza francese e del Nord Europa. È vero che la coerenza è la virtù degli imbecilli, ma qui davvero si esagera in quanto a intelligenza.

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