Dove vuole arrivare Clooney?

Nega ambizioni politiche. Eppure è sempre in prima linea: dai matrimoni gay alle tasse, fino alla moralità pubblica. Dà i voti ai candidati e ha un programma

Dove vuole arrivare Clooney?

Dice che no, altro che correre per il Congresso, semmai correrebbe via dal Congresso. Eppure parla di tasse, di redistribuzione della ricchezza, di genocidi, di comunicazione elettorale, di moralità pubblica, di diseguaglianze sociali e di fine vita. George Clooney fuggirebbe dalla politica ma sembra esserci dentro fino al collo. Un pallino, quasi un’ossessione. Un anno fa è entrato nel «Council on Foreign Relations», il più prestigioso e influente think tank di politica estera americana. Al fianco di due pesi massimi come Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, e Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve. E di recente non perde occasione di commentare nei dettagli le primarie repubblicane. Ieri sul britannico Times: «Si sono spostati troppo a destra su gay e immigrazione»; Gingrich? «Difficile un dibattito con lui. È efficace»; Romney? «Alla fine vincerà, ma il problema è che i conservatori non si fidano di lui»; I democratici? Non sanno vendersi». Poi rivela di un recente incontro con il vice-presidente Joe Biden e di qualche consiglio lasciato cadere al numero due della Casa Bianca: «Voi venite a Hollywood per i soldi, ma non venite per quello che sappiamo fare bene: vendere prodotti. Dovreste sedervi con Harvey Weinstein e Jerry Weintraud (produttori, ndr) gente che ha aperto, chiuso e venduto progetti per anni per discutere del modo migliore di esprimere le cose».
Non solo il suo insistente endorsement pro-Obama - «un disastro» se non fosse rieletto; «mi fanno arrabbiare quelli che non stanno con lui» -, non solo il suo quarto e ultimo lavoro da regista, le Idi di marzo, la denuncia del cinismo e della corruzione che abitano i Palazzi, raccontata attraverso la storia di un giovane candidato democratico alle presidenziali. La politica è il pallino di casa Clooney, a cominciare dal padre, il giornalista Nick, che nel 2004 ha mancato l’elezione al Congresso per il Partito Democratico e ha commentato deluso il suo flop al settimanale Gente: «Abbiamo capito che le critiche rivolte a me in realtà erano un attacco contro di lui (George) e le cause che sostiene». Quali? I matrimoni gay, sui quali in molti sospettano che, nonostante le fiamme mozzafiato al suo fianco, la star possa avere qualche interesse personale: «L’eguaglianza degli omosessuali è l’ultimo pilastro del movimento per i diritti civili - dice -. Ogni volta che siamo contro l’eguaglianza, siamo dalla parte sbagliata della storia». Poi le tasse, sulle quali si è espresso chiaramente qualche mese fa sul settimanale Time: «Chiedere di contribuire di più a chi è fortunato abbastanza da fare tanti soldi è una cosa patriottica. Non so come si possa mettere in discussione una cosa del genere». E persino temi ben più complessi come l’eutanasia, alla quale è favorevole: «Almeno una volta al mese c’è qualcuno che mi dice: “Sparami se dovesse succedermi una cosa così». E anche quando Clooney non parla di politica, è il perfetto paladino dell’antipolitica, quella che alla fine sembra il miglior trampolino di lancio della nuova generazione di politici in tempi di crisi e contestazioni. L’esempio migliore sono le proteste contro ricchi e banchieri del gruppo «Occupy Wall Street», un po’ no-global, un po’ bohémien: «Ogni volta che c’è un movimento di base che non è fondato da persone che vogliono creare un movimento di base, be’ lo trovo interessante». Mai come interessante è la battaglia che porta avanti da anni, quella contro il genocidio nella regione del Darfur, Sudan, dove per il suo impegno e le costanti visite ha preso per ben due volte la malaria. Per la causa africana Clooney ha creato un’organizzazione capace di fornire alla Corte penale internazionale dell’Aia «prove» della strage in corso, ha strigliato i leader mondiali - «devono fare di più per l’Africa» - e ha ammesso, con ironia e spirito critico, ricevendo un premio a Roma dalle mani dell’ex sindaco Walter Veltroni nel 2007: «Ricevo un premio per un fallimento. La situazione è migliorata ma l’emergenza continua». A proposito di Veltroni, Clooney non si è lasciato scappare l’occasione - era il 2008 - di paragonare il preferito Obama all’ex leader democratico italiano: «Credo siano due grandi oratori. Entrambi fanno convergere verso un centro comune la loro politica». Quella politica di cui Clooney non smette di parlare. Anche se preferisce fare l’attore, dice, «se sbaglio non rovino la vita a nessuno». E chi mai vorrebbe interpretare prossimamente? Angel Merkel, risponde.

E il pensiero torna sempre lì, al pallino dell’attore che critica il cinismo della politica, che un giorno sa che smetterà di fare cinema, ma che si dice terrorizzato dall’idea di diventare «irrilevante». Dove vuole arrivare George Clooney?

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