Droga, contraffazione e riciclaggio. Questo sarebbe il cuore degli affari della mala cinese in Italia che, però, non dimentica di investire anche nei suoi più tradizionali mercati dello sfruttamento della prostituzione, dell'usura e delle bische clandestine.
C’è un singolare accordo che unisce la criminalità cinese e la camorra. E come ogni accordo malavitoso, poggia su una solida base: i soldi. Triadi e clan avrebbero concluso un patto con il quale tutti ci guadagnano grazie al riciclaggio del denaro sporco e alla commercializzazione di prodotti contraffatti.
Ma è fondamentale anche la disponibilità di soggetti italiani a fornire documentazioni fasulle per far ottenere ai cinesi i permessi utili a restare sul nostro territorio nazionale. E ancora, gli investigatori rivelano che c'è una "collaborazione funzionale alla regolarizzazione della permanenza in Italia di immigrati cinesi, mediante la presentazione alle autorità competenti di documentazione attestante una falsa dipendenza lavorativa dal datore di lavoro italiano. Il tutto senza rifuggire dall’evasione fiscale, realizzata con l’utilizzo di partite Iva intestate a prestanome irreperibili".
Secondo quanto è riportato nella relazione della direzione investigativa antimafia che si riferisce all’ultimo semestre dello scorso anno, “Diversi imprenditori cinesi sono risultati, inoltre, coinvolti nella produzione di capi di abbigliamento contraffatti o riportanti un falso Made in Italy”. E spiega che: “Contraffazione e riciclaggio rappresentano un ulteriore terreno d’incontro tra le organizzazioni cinesi e le mafie italiane, in primis la camorra”.
La questione dei soldi resta di primaria importanza. Per trasferire denaro di dubbia provenienza, la via privilegiata resta quella dei money transfer anche se, come scoperto nel novembre scorso a Milano, ci sono anche dei sistemi più ingegnosi. Quali, per esempio, le “triangolazioni”: il denaro, dall’Italia arrivava in Gran Bretagna da dove, poi, prendeva il volo verso la Cina.
Tra le attività più redditizie della mala cinese c’è il business delle droghe sintetiche, gestito in “joint venture” con le gang di delinquenti di nazionalità filippina. Lo Shaboo è il pezzo pregiato della “merce” offerta ai tossicodipendenti italiani. E per dimezzare i trasporti e i rischi, la mala asiatica avrebbe allestito un’importante base in Polonia.
Qui la droga sarebbe prodotta da “chimici” di origine vietnamita che poi affiderebbero la commercializzazione della "roba" alle reti filippine e cinesi che, a loro volta, le importerebbero in Italia passando attraverso Ungheria e Repubblica Ceca.Le vie della prostituzione cinesi appaiono le "solite", quelle note attraverso alberghi e centri massaggi.
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