Due diversi destini chiusi nella stessa gabbia

La genesi di un libro è spesso uno strumento indispensabile per comprenderne il senso e il valore, e lo è certamente nel caso di Gabbie. Il «romanzo» di due compagni di banco (Marsilio, pagg. 186, euro 13). Firmano il volume Giovanni Mariotti, del quale ricordiamo ai lettori l’ammaliante Storia di Alì uscita l’anno scorso, sempre da Marsilio, e Fabrizio Puccinelli, scrittore travolto ma non distrutto dalla follia sebbene sottoposto ai metodi brutali (elettrochoc, coma insulinico, reclusione forzata) in uso nel nostro recente medioevo quando i «matti» erano considerati creature colpevoli, e dunque meritevoli di detenzione. Di famiglia borghese e agiata Fabrizio, a dispetto della malattia mentale, riuscì a sposarsi e ad avere una figlia. Quando nel 1992 venne a mancare, in seguito a un fatale attacco d’asma, lasciò una quantità di pagine in gran parte inedite. Il suo ex compagno di banco Mariotti ha operato una selezione delle carte, le ha «sistemate» e vi ha fatto seguire un’intensa, dolorosa coda autobiografica.
Le pagine di Puccinelli raccontano l’esperienza della follia e della reclusione attraverso immagini terse, lievemente meno luminose della realtà. È come se l’autore avesse preferito attingere alla propria vicenda personale guardandola riflessa in uno stagno. Si susseguono figure emblematiche di medici (Mannaggia, Mannaro, Capra) la cui professionale assenza di spigoli sembra rendere inappellabile la loro minaccia; esseri di volta in volta spietati o gaglioffi dai quali si leva una sorta di sonorità senza suoni. Pensiamo all’attimo drammatico della «cattura» da parte degli infermieri e degli psichiatri, resa con una calma assurda ma letterariamente efficace, quasi che il malato si fosse convinto della sua inevitabilità. Illogica domesticità e remissività del folle che trova una compiuta e perturbante amplificazione allegorica nell’altro tema ricorrente in Puccinelli, quello del rapporto con gli animali: cani, cavie, lupi. Mai finora era stata colta e raccontata con tanta profondità la prassi in fondo buffa, semiseria con cui l’animale è regalato o venduto, l’atto insomma grazie al quale esso «passa di mano» e cambia di padrone. Già, avevamo quasi dimenticato che per gli animali la schiavitù non è stata mai abolita.
Rispetto a quella dello sfortunato amico, la biografia di Mariotti si muove all’insegna di una fortunata povertà: il rapporto con la madre, il rifiuto della scuola, il viaggio dalla Toscana a Milano in cerca di lavoro negli anni del boom economico. Una Milano un po’ testoriana, comunque vista dall’osservatorio non privilegiato delle periferie. La pagina in cui apprendiamo che Buster Keaton apparve un giorno, incognito, in uno scalcinato teatro di varietà milanese («tracciò nell’aria qualche arabesco negligente, che restò inconcluso»: come non riandare per contrasto al Keaton abbagliante descritto da Emilio Cecchi in Messico?) ha il sapore di un mesto apologo morale.

Comprendiamo qui che le gabbie del titolo alludono anche alla ragione per la quale i testi di Puccinelli e di Mariotti sono stati congiunti: per l’amara filosofia del curatore del volume non solo la follia, ma la stessa normale condizione umana, se il boccone della vita va di traverso, appartengono allo stesso orizzonte di stralunata prigionia.

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