E adesso tra studenti rossi e neri

Ore 12: il Senato approva il decreto Gelmini. Centinaia di studenti universitari milanesi scendono in piazza per protestare, unendosi al corteo dei liceali. In contemporanea, nell'aula magna della Statale Dario Fo intrattiene un migliaio di giovani con una lezione - «Rappresentazione dell'immaginario» - travestita da spettacolo teatrale. Per un'ora e mezzo il premio Nobel per la Letteratura inneggia alla protesta. Critica il governo, se la prende con l'opposizione. Demonizza il sistema dei baroni. Si schiera apertamente con il fronte anti Gelmini. E loro, i giovani che in questi giorni minacciano di bloccare l'Italia intera, applaudono concitati. Ridono e poi battono i piedi per terra. Annuiscono a ogni passaggio. Fino a mezzogiorno, appunto, quando decidono di sospendere il seminario del drammaturgo per scendere in corteo al fianco delle scuole. Fo maschera con l'ironia il suo personalissimo inno alla rivoluzione. Ma le sue parole sono benzina sul fuoco della protesta: «Non basta prendere ciò che si può - dice il Nobel alla platea assiepata in ogni angolo dell'aula -, bisogna capovolgere l'ordine».
Qualcuno commenta, qualcun altro si limita a guardare ammirato verso il palco. Dal quale subito dopo arriva l'invito esplicito, rivolto agli studenti in lotta, a continuare nella contestazione, a proseguire con la protesta e i corsi in piazza: «Tenere lezioni all'aperto non è una trovata, ma un'idea straordinaria per coinvolgere la gente e dimostrare che voi per studiare fate davvero dei sacrifici: questa è la vostra vittoria». Non teme di esasperare il clima, Dario Fo. Le sue parole contro l'esecutivo sono dure: «Non mi piace la spocchia con cui questo governo, e il premier Silvio Berlusconi per primo, guarda a questo movimento, ovvero come a qualcosa di passeggero, come uno sfogo. Queste sono bolle che possono scoppiare ed esplodere». E poi rincara: «Bisogna sputare in faccia al problema del loro denaro, non lo molleranno mai se non gli farete sentire quanto sono inutili».
Ne ha per tutti il premio Nobel. Anche per i ministri del governo Prodi, ormai in pensione: «Hanno sbagliato anche loro quando stavano al potere. Hanno sbagliato a non eliminare il sistema dei baroni perché di baroni ce ne sono anche nel centrosinistra. Non li perdono perché dovevano muoversi prima». Per sradicare un sistema che definisce nefasto: «Quella dei baroni è una tradizione con la quale bisogna rompere». E per evitare il «proliferare dell'università a pezzi». Ai ragazzi in mobilitazione - che loda e incoraggia tutto il tempo per le forme di protesta scelte in questi giorni - Fo suggerisce di non mollare: «Tutto dipende da quanto si resiste e si inventa, non basta occupare ma bisogna inventare un nuovo modo di studiare e fare cultura».
L'ultimo attacco della mattinata è per il Papa, Benedetto XVI. La lettura del Mistero Buffo è solo di contorno: «Ho visto il Pontefice in televisione che parlava di banche che franano e di economia a rotoli, dicendo che non vale la pena di seguire il potere del denaro, ma è meglio ascoltare la parola della Chiesa. Insomma, se avete fame...». E poi conclude: «Sul giornale ho letto che con un anno di anticipo rispetto alla catastrofe il Papa ha dato l'ordine di dismettere gli impegni bancari e comprare oro. Così ora sta seduto su una tonnellata di oro... che sia quella la Parola?». La benzina inevitabilmente alimenta il fuoco. E l'incendio divampa intorno a mezzogiorno, quando cominciano ad arrivare le prime notizie da palazzo Madama.

Fra gli studenti un portavoce prende la parola e zittisce il premio Nobel. Invita i suoi compagni a seguirlo in piazza al grido: «Passa il decreto, blocchiamo la città». L'aula magna si svuota in fretta. E la protesta torna per strada. Proprio come insegna Dario Fo.

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