«E ci sono margini di crescita: la legge Biagi è solo agli inizi»

In aprile il fatturato dell’industria segna un + 2,3%

Antonio Signorini

da Roma

Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare, centrosinistra e sindacati invitano a non esagerare con l’ottimismo...
«Questo è il secondo segnale positivo dopo i dati sulla produzione industriale. Sono stati entrambi segnali inattesi; erano rilevazioni temute. Certo, il dato sull’occupazione non vuole dire che tutto sta andando bene, ma non significa nemmeno il contrario. L’Istat fotografa un Paese a macchia di leopardo con attività che vanno benissimo altre che vanno malissimo e altre ancora che galleggiano. Insomma l’Italia si sta aggiustando per competere, ma questi cambiamenti devono essere accelerati perché il fattore tempo è molto rilevante».
Ancora una volta la disoccupazione cala e la produzione rimane a livelli bassi. Che cosa significa?
«Il dato significativo è il coefficiente tra crescita dell’ occupazione e crescita dell’economia. Come sappiamo in Italia questo rapporto è sempre stato negativo, in altre parole l’occupazione è sempre cresciuta meno dell’economia. Ecco, negli ultimi anni c’è stata un’inversione di questo rapporto, quindi siamo in presenza di un mercato del lavoro che comincia a essere più reattivo agli impulsi dell’economia. C’è una maggiore disponibilità a tradurre l’andamento del Pil in lavoro regolare. Di negativo c’è che questo processo è accompagnato da una riduzione della produttività».
Questo significa che, paradossalmente, con la produzione che aumenta poco e il tasso di occupazione in salita i costi per le imprese aumentano?
«In un certo senso sì. E questa ora deve essere la nostra principale preoccupazione. Intendiamoci, il dato sulla disoccupazione è estremamente positivo. Guai a fare come fanno le opposizioni che di fronte ai dati Istat stanno agendo come lo psicopatico della barzelletta: accettano che due più due faccia quattro, ma gli secca tanto. Comunque è vero che la produttività per posto di lavoro è ancora bassa. In altre parole aumentano soprattutto le basse qualifiche».
La soluzione quale può essere?
«Introdurre maggiore flessibilità organizzativa e quindi più innovazione tecnologica. E non è un caso che siano proprio questi i temi al centro delle relazioni industriali, basti pensare al rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Gli industriali stanno chiedendo più flessibilità in cambio di aumenti salariali. Purtroppo hanno incontrato una chiusura preconcetta da parte della Fiom Cgil».
È possibile che l’aumento dell’occupazione e il calo della disoccupazione siano dovuti solo all’emersione del lavoro nero?
«Non solo. Bisogna ricordare che pochi giorni fa l’Ocse, senza nemmeno avere questi dati, ha detto che questa tendenza positiva è il risultato delle riforme del lavoro: il modesto pacchetto Treu e la ben più consistente legge Biagi. L’Ocse ha precisato che i dati sulla crescita già scontano il sommerso».
Quanto pesa l’aumento di chi ha rinunciato a iscriversi alle liste di collocamento?
«Può avere un’influenza sul dato della disoccupazione, ma non su quello dell’occupazione che è ugualmente positivo. Che poi ci siano aree del Sud dove c’è scoraggiamento di fronte a un mercato del lavoro atrofizzato è possibile, ma non farei coincidere le due cose».
Pensa che ci siano ancora margini per far crescere il tasso di occupazione e diminuire ulteriormente la percentuale dei senza lavoro?
«Certo, perché la riforma Biagi è ancora agli inizi. La Borsa lavoro partirà solo nei prossimi giorni e tutti i servizi per far incontrare domanda e offerta sono ancora in via di attuazione, così come alcune forme contrattuali.

Ad esempio il part time oppure l’apprendistato che è uno strumento tipico per l’ingresso dei giovani nel mondo dei lavoratori. Oggi è applicato in via sperimentale solo in alcune regioni: servono leggi regionali, ma purtroppo l’applicazione della riforma Biagi è coincisa con le elezioni regionali».

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