E il Cinese ora difende il ceto medio

Il primo cittadino bolognese spara a zero sul governo: «La Finanziaria colpisce quegli italiani che ricchi non sono mai stati»

Luca Telese

da Roma

In tempi ormai lontani, durante la guerra punica che li vide uno contro l’altro armati, Massimo D’Alema lo definì «Gengis Khan». Lui, con il consueto narcisismo autoironico, si è coniato un nuovo nomignolo, «lo sceriffo di Nottingham» per dire quello che non vuole diventare, e partire lancia in resta all’assalto della Finanziaria. Sono bastate due interviste (per lui inconsuete) e ravvicinate, una al Corriere della Sera e una a La Repubblica, per regalare a Sergio Cofferati una nuova vita. «Il Cinese» torna a sparare sul quartier generale ulivista, a sparare su Palazzo Chigi, a sparare, indirettamente anche su Romano Prodi. E stavolta non lo fa «da sinistra» come per l’articolo 18, ma «da destra», sulle tasse, impugnando la bandiera della difesa del ceto medio.
Parola d’ordine? «Questo governo non può fingere di essere Robin Hood: dicono di difendere i più poveri, e poi costringono noi a penalizzarli». E ancora, con l’argomentazione che ha fatto più male a l’Unione: «La Finanziaria tocca tutti i redditi tra i 40mila e 100mila euro, quindi anche i settori che ricchi non sono mai stati. E non chiede nulla in più ai veri ricchi!». Non solo: «A ben guardare la manovra è tutta sul ceto medio produttivo e sul lavoro dipendente, cioè sui soggetti più leali con il fisco. E il vantaggio apparente dei redditi medi lo paga il ceto medio produttivo». Cose che per l’Unione sono difficili da accettare in bocca a Tremonti, ma che dette da un sindaco di sinistra sono insopportabili e dannosissime.
Insomma, lui lo «sceriffo» non lo vuole fare, ma la parola non la sceglie a caso, perché tutti sanno che a Bologna i centri sociali così lo definiscono. Da due anni il sindaco-cinese si è costruito un nuovo profilo identitario, e questo è solo l’ultimo tassello: sindaco legge-e-ordine («Non sono mica due parolacce», disse a Otto e mezzo, davanti a un incredulo Giuliano Ferrara), il sindaco anti-rave cacofonici, il sindaco delle ordinanze anti-birra (per i no global bolognesi il sindaco del «coprifuoco») e adesso il sindaco dei «ceto-medio». I suoi colleghi ulivisti da Sergio Chiamparino a Walter Veltroni criticano il governo in guanti felpati, lui spara con il bazooka: «Quando i Comuni saranno costretti a imporre nuove tasse o a tagliare servizi essenziali si scoprirà che il sacrificio può superare il vantaggio di cui godono i redditi sopra i 40mila euro!». E poi, ultima risposta rivelatrice. «È questo il suo contributo al partito democratico?», gli chiede con una punta di sarcasmo Luciano Nigro di La Repubblica. E lui: «È evidente che il riformismo non ha nulla a che spartire con la demagogia, e in una coalizione le forze riformiste non se ne devono far condizionare». Già, perché l’ultimo anello che manca per chiudere il quadro cofferatiano è questo. Il Cinese, sabato scorso ha scelto di non partecipare al Seminario di Orvieto sul Partito democratico. In un primo momento la sua presenza era data per certa, poi «impegni bolognesi», lo hanno tenuto lontano.
Ma forse ha preferito evitare di subire la micro-censura toccata a Chiamparino, a cui non è stata data la possibilità di intervenire. Ed è curioso osservare come per Cofferati il problema non sia «locale», ma «nazionale», addirittura simile a quello che si verificò nel 1995, quando persino con «l’amico» Prodi (i due si conoscono da un quarto di secolo, da quando Prodi era solo un economista) si arrivò al limite della rottura. Cofferati allora era alla Cgil, e non gradì per nulla l’accordo dell’allora premier con Fausto Bertinotti sulle 35 ore. Allora come oggi ai suoi occhi lo schema prodiano era inaccettabile: accordarsi con le ali, concertare la strategia con le componenti più radicali della coalizione per garantirsi la tenuta in un momento di difficoltà. Una cosa che il Cofferati sindacalista non volle accettare, e che «il sindaco di Nottingham» trova ancora più indigesta.


Ai tanti che si chiedono se Cofferati avrà un futuro politico dopo Bologna si potrebbe ricordare il ministro Vincenzo Visco che sbotta da Lucia Annunziata solo a sentire pronunciare il suo nome: «Lui faccia il sindaco, si assuma le sue responsabilità così come noi ci assumiamo le nostre!». Oppure si potrebbe rispondere che Cofferati nel partito democratico ci starebbe volentieri. Ma solo se avesse un’altra linea. E un’altra leadership rispetto a quella di oggi.

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