E i fratelli Prodi si dividono sull’embrione

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

Uniti su tutto, dalla militanza politica alle vacanze estive nel castello di Bebbio, i fratelli Prodi (Romano e Vittorio, poi ce ne sono altri sette) trovano finalmente un punto di disaccordo. E non di poco conto: la vita. In sintesi: uno vuole limitare la ricerca scientifica sulle cellule embrionali, l’altro no. Il dissenso è documentato da uno scambio di lettere tra Bruxelles (sede del Parlamento europeo, dove Vittorio siede tra le file della Margherita) e Roma.
È il 20 settembre quando sedici parlamentari europei di nazionalità italiana e ispirazione cattolica scrivono al presidente del Consiglio. Tra i firmatari (di Forza Italia, Udc e Margherita) c’è anche Vittorio Prodi. Professore di Fisica dell’Università di Bologna, presidente della Provincia dal ’95 al 2004, quando è stato eletto a Bruxelles con 123mila preferenze (bastava scrivere il cognome) nella lista Uniti nell’Ulivo. Oltre a tutto ciò, fratello maggiore di Romano.
L’oggetto della lettera è «la nota questione dell’uso di embrioni umani» nella ricerca scientifica. In Italia è vietato del tutto (era oggetto del referendum del 2004 che non raggiunse il quorum), in Europa no. Anzi, l’Ue lo finanziò. La questione specifica ruota attorno all’opportunità di stabilire un limite temporale per limitarla. Obiettivo degli scriventi: «Non contribuire con fondi europei alla distruzione di esseri umani». In sostanza: sì alla sperimentazione solo sulle linee cellulari estratte dall’embrione prima di una certa data. Poi blocco della ricerca («rifiutare in futuro qualsiasi concorso in atti distruttivi»). Dal punto di vista dei sedici eurodeputati che si rivolgono a Prodi, è una strategia di riduzione del danno.
Finora l’Unione europea si è pronunciata contro l’introduzione di questo limite. Lo scorso 15 giugno il Parlamento di Bruxelles ha bocciato un emendamento in tal senso al Programma quadro di ricerca. Il successivo Consiglio Ue del 24 luglio ha seguito questa strada a maggioranza. Ma il 26 luglio Romano Prodi, intervenendo in Senato, «si è impegnato personalmente» a battersi a Bruxelles per capovolgere quelle decisioni.
I sedici deputati europei vogliono ora un impegno più preciso. E chiedono al premier di sostenere in sede europea la tesi secondo cui l’indicazione di una data limite è presente, sia pure solo implicitamente, nel Programma quadro di ricerca approvato tra giugno e luglio. «La data è implicitamente indicata ed è quella della presentazione o quanto meno dell’approvazione del Piano. Le chiediamo di rendere esplicita e incontrovertibile questa indicazione». Seguono le motivazioni basate sull’esegesi del testo.
Il governo risponde il 2 ottobre. Ma non a firma del premier destinatario della lettera. È il ministro della Ricerca Fabio Mussi a rappresentare la posizione dell’esecutivo (e di Romano Prodi). Che non raccoglie l’invito dei sedici eurodeputati (tra cui il fratello Vittorio) e non ne condivide l’interpretazione.

La data-limite non c’è e non ci può essere perché la maggioranza dei Paesi membri è contraria. Punto. Restano le buone intenzioni. Così come la militanza e le vacanze insieme a Bebbio. Ma sull’embrione, i fratelli Prodi percorrono strade diverse.

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