New DelhiAncora sotto choc per la sciagura aerea di una settimana fa, l'India si ritrova ora a piangere altri morti non di una fatalità, ma del cosiddetto terrorismo «rosso». Una piaga antica che sta preoccupando il governo di Manmohan Singh ancora di più della jihad importata dal Pakistan. I maoisti indiani hanno fatto strage di almeno 100 passeggeri di un treno notturno partito da Calcutta e diretto a Bombay. Hanno usato il vecchio sistema di sabotare i binari in modo da fare deragliare le carrozze che si sono accartocciate su se stesse quando un convoglio merci che proveniva dalla parte opposta le ha travolte.
Il risultato è stato una carneficina. I soccorritori ci hanno messo cinque ore a raggiungere il posto e una giornata intera a estrarre i malcapitati dalle lamiere. Per l'opinione pubblica è stato uno nuovo choc perché molti di questi viaggiatori erano famiglie partite per le vacanze scolastiche o per feste di matrimonio.
Fin da subito la responsabilità della tragedia è stata attribuita ai maoisti o «naxaliti» come sono chiamati i ribelli che dagli anni Settanta sono attivi nel nord e nord est dell'India. Il «corridoio rosso» che controllano inizia dalle fitte foreste dello stato tribale del Chhattisgarg e termina al poroso confine con il Nepal, dove «altri» maoisti sono riusciti a rovesciare l'odiata monarchia. La pista maoista è stata corroborata anche dal fatto che il luogo della tragedia ferroviaria è vicino a West Midnapore, una delle roccaforti dell'estrema sinistra nello stato «rosso» del Bengala Occidentale. Il treno stava attraversando una porzione del «corridoio» che con gli anni è diventato sempre più esteso. Secondo stime del governo, i guerriglieri, una forza di circa 20mila, sono «presenti» in un terzo dei 600 distretti indiani. Si capisce quindi perché anche l'altro ieri il primo ministro Singh, una «colomba» in materia di relazioni con il vicinato, abbia ripetuto quello che va dicendo da almeno tre anni e cioè che «i naxaliti rappresentano la più grave minaccia alla sicurezza interna dell'India». Per dire che ci sono più pericoli sul fronte orientale che quello occidentale dove sorge la polveriera del Kashmir. Dall'anno scorso il ministro degli interni Chidambaram, un «falco», invece ha lanciato una operazione militare chiamata «Caccia verde» che però non ha ancora dato gli esiti sperati. Al contrario, tra aprile e gli inizi di maggio, i maoisti hanno massacrato oltre 110 forze paramilitari in due imboscate in un remoto distretto dello stato del Chhattisgarh.
Il fenomeno è complesso tanto che i maoisti indiani sono una delle guerriglie meno «studiate» al mondo. Nel caleidoscopio etnico, religioso e culturale del subcontinente indiano, l'ideologia comunista marxista assume diverse sfaccettature.
Per esempio, vicino al treno maledetto sono stati trovati dei volantini del Comitato popolare contro le atrocità della polizia (Pcpa), un gruppo appoggiato dai maoisti che proprio in questi giorni aveva indetto una «Black Week» (una «Settimana Nera») di protesta antigovernativa in Bengala Occidentale. Sembrava una rivendicazione, ma poi ieri pomeriggio il portavoce del Pcpa, Asit Mahato, ha categoricamente smentito qualsiasi coinvolgimento. Il Comitato è al centro di una dura battaglia tra contadini e multinazionali che vogliono aprire fabbriche e sfruttare risorse minerarie. Due anni fa, la Tata Motors ha dovuto abbandonare il progetto della fabbrica della Nano per l'opposizione del movimento agricolo.
Una larga parte degli intellettuali di sinistra associa la guerriglia con la lotta degli oppressi contro lo strapotere dell'industria e dello stato.
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