È impressa sul palcoscenico la pergamena dove il monaco Pimen racconta uno dei periodi più torbidi della storia russa che ha il suo zenit nel giorno in cui il bimbo erede al trono venne sgozzato. Correva il 1591. Questa è una delle scene centrali di Boris Godunov, l'opera di Modest Musorgskij che il 7 dicembre a Milano apre la stagione del Teatro alla Scala. La regina madre sviene, la balia è disperata, il popolo si lancia all'inseguimento dei tre assassini che messi alle strette assicurano che il mandante è il futuro zar Boris, narra Pimen. Questa la verità? Fu lui? Aleksandr Puskin - alla cui tragedia si ispira il libretto - insinua il dubbio. La storia scagionerà Boris Godunov, tra l'altro accorto politico nella fase di reggenza dietro le quinte di un incapace Fedor, mentre non fu granché apprezzato nel ruolo di zar.
Kasper Holten, il regista della produzione milanese, offre una sua personale versione dando per certo che a ordinare l'infanticidio sia stato Boris che impazzirà per quel peso sulla coscienza. Inoltre riserva al personaggio del principe ereditario, il bimbo trucidato, «una parte di rilievo mai vista in altri spettacoli» spiega il direttore d'orchestra Riccardo Chailly che con quest'opera firma la sua nona Prima della Scala. Holten va oltre facendo scorrere un'enorme cartina geografica della Madre Russia: via via in frantumi, l'allusione non è certo al collasso sovietico. Questa scena è tra le più politicamente allineate, non con il Cremlino evidentemente, dello spettacolo; con buona pace di quanti tacciano la Scala di filorussismo, a partire dal console ucraino Andrii Kartysh, e di quanti chiedono di cancellare titoli e interpreti russi dal cartellone milanese.
La Scala mette in scena l'Ur-Boris del 1869, la versione primigenia di Musorgskij, quella che i teatri di San Pietroburgo respinsero perché troppo moderna e virulenta, al compositore venne chiesto di addomesticare la partitura, cosa che fece, e cfecero poi i compositori Rimskij-Korsakov e Sostakovich nelle versioni successive. «Da un punto di vista dell'orchestrazione ci sono momenti di neoespressionismo. Se penserete che vi sono note false, sappiate che non è così», commenta Chailly che sabato ha inaugurato la prima prova in teatro dove sono in arrivo le scene - cariche d'oro - confezionate nei laboratori dell'Ansaldo.
Boris Godunov è quasi un classico alla Scala dove è stato visto 150 volte dal 1909 in poi, Arturo Toscanini lo diresse 34 volte, spesso anche Antonino Votto, venne riproposto da Claudio Abbado. Nella conferenza di presentazione dell'opera, sono state menzionate le grandi bacchette che alla Scala si sono occupate di Boris, tutte salvo il gran mago del repertorio russo che nel 2002 diresse a Milano un Ur-Boris memorabile.
Si chiama Valery Gergiev è colui che in febbraio, all'indomani di una sua Dama di Picche spettacolare (così si dice anche nei corridoi scaligeri, ma a bassa voce), venne invitato a pentirsi dei peccati di filoputinismo pena l'esclusione dai palcoscenici, compreso quello scaligero. Dato il suo silenzio, è stato bandito. Anche dalle conversazioni.
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