E persino la stampa amica non crede a un agguato del Polo

«Repubblica»: «Al Motorshow nessuna imboscata al Professore». E «L’Unità» ammette: contestazione non politicizzata

Luca Telese

da Roma

«Buffone», «scemo», «mortadella», certo. Ma il day after mediatico dei fischi, a ben vedere, è peggio degli stessi fischi, per Romano Prodi, peggio degli insulti. Se non altro perché a mettere il dito nella piaga, e a criticare la risposta del premier di ieri - in forme e modi diversi - erano tutti i quotidiani amici o indipendenti, firme e opinionisti indubitabilmente di sinistra come Edmondo Berselli su La Repubblica o Riccardo Barenghi, la «Jena» nata a Il manifesto (e oggi approdata a La Stampa). E se si voleva avere un bilancio dell’«impatto ambientale» della contestazione sul premier, a ben vedere, bastava andare a spulciare la dettagliatissima corrispondenza di un cronista meticoloso come Ninni Andriolo, su l’Unità. Andriolo raccontava che, a parte Giulio Santagata (amico, ministro e guru della Fabbrica prodiana) «altri collaboratori consigliavano al premier più cautela, maggiore attenzione alle ricadute di immagine, una più oculata selezione degli appuntamenti». Quasi un «autocommissariamento», a cui per ora Prodi - sempre a detta di Andriolo - preferisce rinunciare. E ancora: mentre come è noto il premier rispondeva in modo apocalittico («Paese in una situazione penosa») L’Unità non poteva fare a meno di sottolineare che a parte qualsiasi presenza organizzata, la contestazione si era estesa al pubblico non politicizzato: «La regia che aveva organizzato il benvenuto aveva scommesso, con una buona dose di certezza, sul clima da curva sud che avrebbe fatto da cassa di risonanza ai primi insulti». Un assembramento di contestatori che il quotidiano diessino definisce «una vera e propria barriera umana che attendeva al varco il premier».
Ancora più ficcante, e indicativo, il parere di Berselli (commentatore bolognese, ulivista e prodiano) su La Repubblica. Un fondo in prima pagina doloroso fin dall’attacco, per Palazzo Chigi: «Sarà impazzita anche Bologna, ma questa volta il faccia a faccia con la realtà è avvilente e doloroso». E poi, smentendo esplicitamente la tesi del complotto: «Persino gli epiteti piuttosto ovvi indirizzati al presidente del Consiglio non fanno pensare a un’organizzazione raffinata, a un’imboscata preparata con cura da pasdaran berlusconisti. Piuttosto all’espressione di un’antipatia istintiva, rivolta a Prodi in quanto rappresentante del Potere e delle istituzioni, oltreché politicamente, infinitamente distante dai desideri e dai bisogni sicuramente indotti ma reali dei giovani» (quelli del Motorshow, ovviamente). Le conclusioni sono ancora più amare: «Anche la smusata o la tranvata di Bologna può essere utile se serve a mettere a fuoco un’idea non meccanicistica del consenso (e soprattutto della perdita del consenso)»(!). Di più: mettere a fuoco, «Cioè che la colossale e rapida perdita di popolarità e di gradimento del governo dopo il varo della finanziaria (“Mai visto in Italia un crollo del genere“ dicono a mezza voce i sondaggisti“) non può essere spiegata con esorcismi accademici». Affondo durissimo: «C’è di mezzo un problema. Grave. C’è di mezzo l’incomprensibilità dell’azione di governo. Un’incomunicabilità dei ministri e del capo dell’esecutivo di fronte all’opinione pubblica». Amen. Parole così ferali contro il governo, su La Repubblica, non se ne ricordavano. Una stroncatura senza appello. Altrettanto chiaro il giudizio di Barenghi sul quotidiano torinese: «Prodi ha fatto male a ridurre le contestazioni a una semplice gazzarra di attivisti di destra. Quando Berlusconi diceva che qualsiasi contestazione di se stesso era il frutto dell’odio di sinistra, giustamente Prodi e tutta l’Unione si ribellavano. Spiegando che l’odio non c’entrava nulla perché - osserva Barenghi - si trattava di puro dissenso politico».

A chi non aveva votato Prodi alle elezioni, osserva l’editorialista de La Stampa, «si sono aggiunti gli altri, una parte degli altri, cioè di quelli che avevano votato Prodi e che oggi si dichiarano delusi se non peggio».

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