E il Senatùr candidò la modella trovata in corsia

La giovane ha scritto un libro, «Sì, no, Miami»: è il racconto di un dramma a lieto fine, dai tacchi a spillo all’ictus e ritorno

Vittorio Macioce

S’incontrano come due ladri, con un sorriso furbo di complicità. A quell’ora nessuno dei due dovrebbe stare lì. Non si danno mai appuntamento, capita quando capita. Il bar dell’ospedale di Brissago, nel Canton Ticino, dopo mezzanotte è quasi deserto. C’è solo una luce accesa e un paio di quotidiani abbandonati su qualche tavolino. Lisa scende dopo il coprifuoco tutte le sere. Si porta un blocco di fogli e con la sinistra (il braccio destro è ancora addormentato) scrive a penna il suo romanzo. Si chiamerà Sì, no, Miami (La mia storia: dai tacchi a spillo all’ictus e ritorno). Lei ancora non lo sa, ma un annetto dopo verrà pubblicato dalla Mondadori. Quell’anno dopo è oggi. «Sì, no e Miami» sono le uniche tre parole che Lisa Festa riusciva a pronunciare dopo il grande buio. Miami è la città della sua ultima vacanza. «Sì» e «no» sono un interruttore, acceso e spento, il codice binario dell’intelligenza, forse della vita. Lisa ha ventidue anni, è bionda come Barbie, veneta, con un padre leghista e una voglia di vivere che danza nei suoi occhi. Quando lo vede arrivare, con la tuta azzurra che hanno tutti i pazienti dell’ospedale, lo saluta senza imbarazzo. «Ciao Senatùr. Mi fai compagnia?». Umberto non scende tutte le sere, solo quando i pensieri gli battono troppo forte in testa e i ricordi non lo fanno dormire. «Ciao ragazza. Ma cosa stai scrivendo?». «Un libro. Voglio raccontare quello che mi è successo». Umberto si prende la sua spremuta d’arancia, guarda Lisa con orgoglio e dice: «Sei proprio matta». La tosa ha coraggio, tanto. Umberto si specchia nella sua tenerezza. Vanno spesso a pranzo insieme. «Umberto, ma perché mangi sempre le stesse cose: penne al ragù, filetto e patate?». Si raccontano la vita. Lui la politica, la Lega, il Palazzo. Lei la disco, i ragazzi, l’America. Umberto a vederla quasi non ci crede: «Ma come è possibile che così giovane hai avuto la stessa cosa che ho avuto io?». Lisa racconta.
Tutto questo è successo un po’ di tempo fa. Lisa è sempre bella. Quando parla non ti rendi conto che ha dovuto ricominciare dall’abecedario. Ora parla tutto d’un fiato, accarezzando le parole con il canto da sirena della cadenza veneta. Solo la mano destra resiste timida, come se avesse paura di afferrare di nuovo il mondo. Lisa stringe un bicchiere. «Vedi ci riesco. Il problema è che non posso lasciarlo. Mi resta attaccato». Meno male che è ambidestra. Lisa è tornata dal buio. Come Umberto. Umberto Bossi. È la storia parallela di un black out. Sono due sopravvissuti. «Una sera ero triste, una mia amica si era laureata. Dico a Bossi: “Chissà quando toccherà a me?”. Lui mi guarda severo e dice: “Tu stai prendendo una laurea più importante, quella della vita”». L’incontro. Lisa invita Umberto alla sua festa di compleanno in ospedale. «È stato molto dolce. La gente lo vede in tv e pensa che sia cinico. Sua moglie gli è stata sempre vicina, però mi ha dato l’impressione di grande solitudine, come se molti si preoccupassero per la sua carica politica più che per la sua salute». Lisa e Bossi. Lei lo sgrida perché fuma il sigaro. Lui si arrabbia: «Qui nessuno ha il coraggio di dirmi cosa devo fare. Non farlo neanche tu». Lisa e Umberto. Mettono la «radio a palla» e cantano. Celentano. «Suusaaanna», intonano. Canta bene, dice Lisa. Quando il Senatùr è malinconico ascolta Strauss o Mozart. L’hai mai visto piangere? «L’ho visto commosso. Ero con lui il giorno che hanno approvato il federalismo. Aveva le lacrime agli occhi». Gli hai mai chiesto nulla? «Sì, di farmi conoscere Berlusconi». L’ha fatto? «No». E lui, ti ha mai chiesto nulla? «Di candidarmi con la Lega». L’hai fatto? «A Castelfranco. Trentanove voti».
Bossi domanda e la ragazza racconta: «Mercoledì, la sera top nel locale di Vicenza. Mi sono tirata al massimo: gonna maculata, orecchino marroncino di Swarovski, scarpe in vernice nera con tacchi a spillo dodici centimetri, giacca nera di raso, e sotto, intimo rigorosamente nero, con il push up da rimorchio». Lisa va in discoteca. Non beve. Non prende droghe. Non prende nulla. Ma la testa comincia a girare forte e lei crolla, all’improvviso. Corsa all’ospedale di Vicenza. Non riesce a parlare. Fa fatica. Verso sera si riprende. La trattengono per un controllo. Nessuno si rende conto dell’ischemia.

La notte un nuovo colpo: «Vostra figlia ci è sfuggita. Ora cerchiamo di salvarla». Ricorda Lisa: «Mi guardavo allo specchio con la bocca storta e l’occhio rimpicciolito. Penso. Qui tutta la parte destra è da buttare. È andata a farsi un giro di sola andata alle Hawaii».

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