E Silvio confessò: "Io eroe coraggioso, ma un po' matto"

Berlusconi si definisce così per avere varato la rivoluzione della giustizia. Infatti solo lui può intervenire su processi lumaca e magistratura militante: dallo sport alla politica, il Cavaliere impersona "l’elogio della follia"

E Silvio confessò: 
"Io eroe coraggioso, 
ma un po' matto"

Solo un matto può pensare di cambia­re la giustizia. Eppure è da matti non cam­biarla. Il paradosso italiano è tutto qui, in questo intreccio da camicia di forza: non è saggio mettere mano a una riforma che ha sempre bruciato chiunque l’abbia tocca­ta, dal vecchio Psi a Clemente Mastella. Ma non può essere saggio nemmeno conti­nuare a rimanere inchiodati in processi che sono ormai roba da pazzi. Eccolo, il paradosso: ci vuole un matto per salvarsi dal manicomio dei tribunali.

Per buona parte della sinistra le proposte di riforma costituzionale sono irricevibili per il solo fatto che le ha presentate il premier. Non entrano nemmeno nel merito dei contenuti: sostengono che Berlusconi è l’unico che non può cambiare la giustizia. E non si accorgono che, invece, è vero esattamente il contrario:Berlusconi è l’unico che può cambiarla. Perché? Semplice: perché è «coraggioso, temerario, quasi eroico, forse un po’ matto», come s’è autodefinito ieri. Un po’ matto, appunto. Quel tanto che basta per districarsi nel quotidiano manicomio, secondo quanto diceva Blaise Pascal: gli uomini sono così folli che è folle non essere folli.

D’altra parte Berlusconi l’aveva dichiarato subito, fin dai primi giorni in cui entrò in politica: sul comodino tiene l’«Elogio della follia» di Erasmo da Rotterdam. E il suo è sempre stato fin dall’inizio un programma evidentemente folle. Folle pensare di creare un partito in tre mesi, folle pensare di vincere le elezioni, folle pensare di proporre una rivoluzione liberale a un Paese sedato dal cattocomunismo. Folle voler applicare i meccanismi vincenti dell’imprenditore fra i bizantinismi di una politica nutrita a preamboli e convergenze parallele.

Epperò tutto quello che gli è riuscito di buono, in questi anni, è stato proprio il frutto della follia, cioè della voglia di osare, di uscire dal seminato, quel gusto per il «di più» che lo accompagna da sempre, in ogni manifestazione della sua esistenza, dal lavoro ai momenti di relax. È una virtù pericolosa, che sfiora il vizio, è un’ingordigia di vita che sconfina nell’esagerazione. Ma tutti coloro che nella storia, nell’arte,nella cultura, nella politica, in tutte le manifestazioni umane insomma, hanno creato qualcosa di nuovo hanno dovuto per forza rompere gli schemi dei loro predecessori. E, di conseguenza,apparire strani.E un po’ matti.

Del resto uno che si presenta su un terreno piuttosto nebbioso e malandato alla periferia di Milano e dice: «Qui costruirò una città modello e la chiamerò Milano 2», non sarà apparso un po’ matto?E uno che prende una tv condominiale, poco più che un citofono di quartiere, e annuncia che con quello arriverà a rompere l’eterno monopolio della Rai, non sarà apparso un po’ matto? E uno che entra nel calcio, un mon-do all’antica, con presidenti ancora convinti che amalgama sia un’ala sinistra e timorosi delle telecamere perché «a parlare in pubblico ho il paté d’animo», uno che piomba lì in mezzo, scende da un elicottero e annuncia che vuole vincere tutto, be’, non sarà apparso anche lui del tutto matto?

Ma sì: solo un matto può pensare di cambiare le regole della comunicazione elettorale, solo un matto può pensare di cambiare le regole della diplomazia internazionale. Solo un matto può pensare di fondare un partito unico e poi litigare con il co-fondatore. Solo un matto può arrivare fino a un passo da far sciogliere la sua maggioranza e poi rilanciarla a suon di riforme ( ci avete fatto caso? Il Pdl non ne ha mai varate tante come dopo la scissione...). E, rispetto al sogno del ’94, se una critica si può muovere a Berlusconi è proprio quello, in alcuni frangenti, di non essere stato abbastanza matto. Di essersi fatto avviluppare dalle regole del Palazzo e della saggezza, di aver rinunciato a un pizzico di follia in nome del realismo o della realpolitik.

Per cambiare davvero non bisogna essere realisti: bisogna essere matti. Matti e coraggiosi. Perché, è ovvio, è assai più comodo adagiarsi sugli schemi consolidati, attenersi ai canoni prestabiliti. Nessuno storce il naso, nessuno ti accusa. Ci si nasconde che è un piacere dietro abitudini&consuetudini. Ma non si va avanti. L’uomo sarebbe ancora in una caverna se qualche temerario non avesse provato ad accendere un fuoco, magari mentre gli altri della tribù lo insultavano: «Ma sei matto? Non vedi che rischi di bruciarti?». Anche con la giustizia ci si rischia di bruciare. Anche il tentativo di riformare questo Paese scatena ogni volta un incendio. La scuola non funziona? «Giù le mani dalla scuola». L’Università fa acqua? «Giù le mani dall’Università». Per avere un processo ci vogliono dieci anni? «Giù le mani dai processi». Di fronte a tante resistenze solo un folle può pensare davvero di riuscire a cambiare. Eppure solo un folle può pensare di non cambiare.

È il paradosso dei nostri giorni, l’assurdo psichiatrico che ci tormenta. E che, a questo punto, ci mette davanti a un’alternativa secca: seguire una rivoluzione da matti. Oppure rassegnarsi all’immutabile manicomio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica