«Easy Virtue», l’elegante commedia del triplo conflitto

RomaCol secondo film di alta qualità - Easy Virtue («Esigua virtù») di Stephen Elliot - il Festival di Roma è giunto a metà percorso, avviandosi a superare l’ultima Mostra di Venezia. Non ci voleva tanto, ma è un grosso risultato per un Festival che a maggio pareva chiudere.
Easy Virtue - dirà il purista - è già stato al Festival di Toronto (coevo alla Mostra di Venezia) e proprio ieri sera è stato anche al Festival di Londra. Ma è meglio vedere un bel film dopo, che vederne tanti brutti prima, il triste risultato della formula veneziana attuale.
Di produzione inglese (della Ealing, per l’esattezza), Easy Virtue deriva dalla commedia di Noel Coward (1923) già portata sullo schermo da Alfred Hitchcock nel 1927. Con un testo così come base si può o rappresentarlo com’è, scomparendo dietro l’autore, o innovarlo e subire il confronto con un grande autore. Elliott ha innovato qua e là, salvando il retaggio e adattandolo bene ai tempi (la vicenda passa nel 1929, onde esibire un’auto d’epoca per fare pubblicità a un marchio tedesco).
Si poteva dubitare che fosse solo per essere venduto in America che il film schierava Jessica Biel. Invece la scelta si rivela è perfetta. La Biel offre un’interpretazione maiuscola, fronteggiando nel ruolo di nuora la suocera, Kristin Scott Thomas, «il cui reale temperamento - dice Elliott - è deciso come quello del suo personaggio».
Vediamo dunque un gruppo di famiglia in un interno, un maniero di campagna d’inverno. La Thomas interpreta una nobildonna inglese di campagna, sposata con un reduce (Colin Firh) che non le interessa più. Pazienza. A sconcertarla è invece l’improvviso matrimonio dell’unico figlio maschio (Ben Barnes) con una giovane vedova americana (la Biel) che gareggia in auto e ha praticato l’eutanasia sul primo marito.
L’incontro fra nuora e suocera è l’occasione per far esplodere rivalità fra donne, fra classi e fra popoli. È una conflittualità che procede per cerchi concentrici, magistralmente condensata da Coward nella commedia, pur restando lieve e frizzante.
Inteso come film, Easy Virtue ha subìto adattamenti del regista e dello sceneggiatore Sheridan Robbins, incluso il poco verosimile can-can in famiglia senza biancheria intima, che è l’unico momento del film non all’altezza degli altri, quando le due donne in contesa si scannano per l’egemonia. La suocera vuole la nuora nel maniero solo per conservare il figlio con sé; e la nuora vuole andare a vivere con lui a Londra per sottrarsi a questa subordinazione, sebbene dorata... Talora si ride, spesso si sorride, sempre si resta affascinati dal brio.
Col buon gusto, il brio è del resto ciò che più manca al nostro cinema. Lo si coglie anche da Galantuomini, fiacco intreccio sentimental-delinquenziale di Edoardo Winspeare, ovviamente - noi abbiamo anche registi di respiro regionale... - su sfondo salentino.

È un film ambizioso e noioso, indeciso nello scegliere fra epopea criminale della donna (Donatella Finocchiato) e aria di perbenistica superiorità del magistrato alto-borghese, che però è «democratico» perché ha barba, libri ma non cravatta (Fabrizio Gifuni).

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