Vediamo di ripristinare il senso delle proporzioni, magari anche a vantaggio della loro serenità mentale. Dunque, tutti sanno che qualcosa di notevole è successo e qualcosa di notevole sta per succedere. Le pensioni sono state cambiate strutturalmente, e la facoltà di licenziare per ragioni economiche sta per diventare una realtà.L’inquietudine febbrile della sinistra si spiega da sola. Il primo governo Berlusconi del 1994 cadde sull’assalto giudiziario, ma il grilletto del colpo mortale fu premuto dai sindacati e dalla sinistra sul tema della riforma delle pensioni, una misura di buon senso sostenuta dall’economista liberal Franco Modigliani. A un governo tecnico non parlamentare e non eletto è riuscito in cinquanta giorni di fare quel che non era mai riuscito alle classi dirigenti moderate e liberali, e in particolare a Berlusconi e ai suoi ministri, da decenni a questa parte: il passaggio dal sistema di finanziamento della previdenza detto «a ripartizione», troppo generoso per un Paese progressivamente indebitato come il nostro e in generale per lo stato del benessere europeo, a quello detto «contributivo».
Ma ora si passa dalle pensioni al mercato del lavoro. Non si tratta ovviamente di autorizzare in generale licenziamenti immotivati, ma di liquidarenella sostanza la tutela di un’altra epoca storica e sociale, quella dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che rende difficile la messa in mobilità dei dipendenti e dunque impone una funesta cautela a chi rischia nell’impresa quando si tratta di assumerli. Una rigidità che, con l’allargamento a dimensione mondiale dei mercati, rende molto meno competitivo il sistema economico italiano, e fa da barriera, magari non secondo gli esperti e i sociologi del lavoro tuttofare ma certamente secondo gli imprenditori seri (da ultimo Sergio Marchionne), agli investimenti domestici ed esteri in Italia. I dati sulla disoccupazione giovanile e sul precariato dicono che il nostro è un sistema immobilistico, con false garanzie sui posti di lavoro improduttivi, ed emarginazione per i non garantiti. Una malattia mortale che solo un nuovo regime di ammortizzatori sociali da costruire nel tempo, diverso dalla logica della cassa integrazione, può curare (insieme alla caduta della clausola del reintegro giudiziario automatico per chi sia licenziato per ragioni economiche).
Se Berlusconi appoggia il governo Monti con una certa alacrità, e magari con un tantino di zelo che si potrebbe risparmiare, c’è ragione di credere, puramente e semplicemente, che il governo tecnocratico sta riuscendo a fare quello che Berlusconi voleva fare e non riuscì a fare, con le sue maggioranze di coalizione, con le sue opposizioni coltello tra i denti. O no? Ho già detto delle pensioni. Ma tutti ricordiamo che nel 2001, in occasione della prima grande crisi determinata tra le altre cose dall’11 settembre, Berlusconi fece un «patto per l’Italia», proprio sull’articolo 18, con i sindacati moderati e solidaristici che ci stavano, la Cisl e la Uil, e fu fermato da una lunga e massiccia e minacciosa battaglia d’arresto guidata dalla Cgil di Sergio Cofferati e sostenuta alla fine anche dalla solita Confindustria deboluccia e conviviale, quella stessa che con la signora Marcegaglia ha di nuovo ciurlato nel manico dopo che un colosso come la Fiat, per poter investire in Italia, era dovuto uscirne e farsi come si dice gli affari suoi, il suo business . La signora si avvicinò di recente ai sindacati contro un nuovo modello di relazioni industriali e si fece impietosa censora del berlusconismo con un piccolo opportunismo petulante, lo stesso che ora le suggerisce di definire con malagrazia i lavoratori dipendenti da espellere dal processo produttivo una pletora di ladri e di fannulloni.
E volete che in questa situazione, in un Paese in cui le posizioni riformiste sul lavoro, spesso uscite dal seno della sinistra liberale degli Ichino e degli altri, si pagano con la condanna a morte per il reato ideologico di intesa con il nemico (Ezio Tarantelli, Marco Biagi, Sergio D’Antona), Berlusconi non sostenga i provvedimenti riformatori del governo Monti-Fornero? Non è una ragione abbastanza seria, più seria delle dicerie sulla giustizia e sulle aziende dell’ex premier, per una intesa politica con il successore che fa esattamente le cose che voleva fare il predecessore? La sinistra e
Repubblica dovrebbero usarci la cortesia di grattarsi la loro rogna e il loro risentimento, senza attribuire machiavelli e perfidie pro domo sua all’Arcinemico. Lo hanno già fatto per anni, alla fine con scarsissimi risultati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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