Ecco il manifesto del «Finismo»: la politica è buona solo se laica

Se non è un programma di governo poco ci manca. Senz’altro è un programma esplicito del «finismo», quella sorprendente specie di conservatorismo-progressista, o di laicismo-tradizionalista, elaborato negli ultimi anni dall’ex leader di An, ma finalmente organizzato in un disegno politico che riassume in un solo tessuto tutti gli strappi finiani con la destra, col suo passato, col suo presente nel Pdl. Un percorso che somiglia, specularmente e paradossalmente, a quello di Walter Veltroni a sinistra e al suo tentativo (mai riuscito) di inglobare valori e sensibilità tradizionalmente opposte recidendo di netto le proprie radici ideologiche, ma con l’ambizione di farlo senza disperdere l’identità. È singolare che del veltronismo si ritrovi anche la forma in cui il nuovo Fini sceglie di «scendere in campo»: un libro, per certi aspetti anche veltroniano nello stile.
Siamo laici ma anche cristiani, dice Fini ai giovani nati nel 1989. L’identità italiana va difesa ma anche allargata ai prossimi nuovi concittadini, gli immigrati. Il ’68 è stata una stagione di mostri ideologici ma anche di libertà e modernizzazione. La nazione è «un comune destino», ma la speranza si chiama Europa. Alla fine verrebbe da chiedergli: Gianfranco, dì qualcosa di destra! Ma il Fini che parla dalle pagine di Il futuro della libertà (e che parla da leader politico, non da puro uomo di istituzioni) è difficilmente collocabile nel consueto schematismo politico, e anzi ne sfugge volutamente. Fini vuole insomma chiamarsi fuori, in nome di una politica post-ideologica, da quel «pulviscolo tossico che continua a produrre ostilità e divisioni artificiose». In altre parole, fuori dai modi della contesa tra maggioranza e opposizione. «È una nebbia sottile che altera il dibattito tra le forze politiche», scrive Fini, e che bisognerebbe disperdere per chiudere definitivamente i conti con il Novecento e le vecchie ideologie. Per guardare dove, al centro? Difficile dirlo. «Il percorso reale delle riforme si è rivelato tortuoso e lento», colpa «delle inimicizie radicali, delle idee blindate entro i fortilizi dei partiti-chiesa», spiega Fini allineandosi al Quirinale.
La non-ideologia che dovrebbe guidare le scelte comuni è, nella forma che Fini ha in mente, una «cosa» liberale che però deve molto al pensiero radicale e anche a quello di sinistra. Sul tema della bioetica, per esempio, Fini prende posizioni apertamente «laiciste» e denuncia la «cattiva politica», quella che «pretende di avocare a sé il diritto tremendo e assoluto di decidere della vita e della morte delle persone in stato vegetativo irreversibile». Anche qui il riferimento è preciso, e cioè l’indirizzo prevalente nella maggioranza sul tema fine-vita.
Il fascismo poi (ma questa non è un novità) è catalogato, come il leninismo-stalinismo, nella categoria «male assoluto», mentre le battaglie del ’68, il femminismo, il radicalismo anti-sistema della contestazione studentesca di quegli anni, sono rivalutate da Fini (nella loro aspirazione innovatrice) come esperienze di crescita collettiva.

Sparisce in un colpo solo anche l’eredità della vecchia An sul tema dell’immigrazione, che diventa una grande opportunità e non un fenomeno da temere. Parla e scrive ai nuovi possibili elettori del centrodestra, sul futuro della libertà. Ma, tra le righe, dice la sua anche sul futuro del Popolo della libertà.

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