La bomba dell’uscita dall’euro è finalmente stata messa al centro del tavolo. Ticchetta minacciosa ma adesso la stanno guardando tutti. Meglio tardi che mai: metterla sotto il tappeto sperando che si disinnescasse da sola non è servito e adesso si cominciaa fare i conti di quante vittime potrà fare. Le stime che circolano sono però quasi tutte viziate da un errore di base: si riferiscono infatti a danni potenziali rispetto ad una situazione intatta e ideale. Purtroppo ( o per fortuna) non è così. I danni di un’esplosione sono diversi se l’ordigno scoppia prima o dopo un terremoto. Nel secondo caso la distruzione è largamente inferiore perché la maggior parte del disastro è già avvenuta, anzi, in certi casi far esplodere un edificio pericolante potrebbe persino essere utile in quanto ne viene facilitata poi la ricostruzione. Cerchiamo quindi di dare uno sguardo senza pregiudizi a questo ultimo atto della crisi greca per poter iniziare un dibattito che troppo a lungo è stato rimandato.
1) Se la Grecia esce dall’euro noi ne subiremmo conseguenze In realtà le conseguenze le stiamo già subendo. Lo spread, le tasse, la disoccupazione e la recessione hanno tutti una matrice comune e stanno già da tempo incenerendo ricchezza. I mercati finanziari e gli investitori non stanno fermi ad aspettare che la bomba scoppi: da mesihanno cominciato a vendere in massa i titoli dei paesi deboli originando quindi il famoso spread. Ciò ha già ridotto il valore dei risparmi e sta appesantendo il bilancio statale, costretto a pagare tassi passivi più alti. Di sponda le conseguenze sono già arrivate alla vita reale nella forma della stretta al credito e dei mutui a tassi molto elevati.
Quando e se la Grecia uscirà dall’euro sarà cosa già anticipata dai mercati, così come già presente nei prezzi attuali dei titoli italiani c’è la percentuale di rischio che anche noi, prima o poi, ne seguiremo le tracce. L’effettivo ritorno alla dracma significherà semplicemente un rischio maggiore di uscita di altri paesi percepito dai mercati, non di certo una sorpresa. Minimale sarà invece l’impatto sulla bilancia commerciale italiana ma anch’esso non positivo, in quanto la Grecia è pur sempre una controparte commerciale.
2) Quali sono le differenze fra Italia e Grecia La posizione dell’economia italiana di fronte ad un rischio di uscita dalla moneta unica (con conseguente svalutazione) è molto migliore rispetto a quella ellenica. Atene importa tre volte più beni rispetto a quelli che esporta, con alimentari ed energia a guidare la lista delle importazioni. In caso di ritorno alla dracma i greci dovrebbero subire sia la fine degli aiuti finanziari della Ue che un aumento pesantissimo dei costi delle importazioni, non facilmente sostituibili con prodotti domestici. Si capisce quindi il perché la Grecia è stata costretta a sopportare i diktat europei, visto il suo minimo potere contrattuale. Molto differente è la situazione italiana: oltre ad avere un avanzo primario le nostre esportazioni verso l’estero compensano quasi esattamente le importazioni, principalmente costituite da energia e altri prodotti che, però, sarebbero in molti casi facilmente sostituibili con produzioni interne. Una svalutazione rilancerebbe fortemente i consumi interni e l’export così come avvenuto dopo il ’92 quando uscimmo dallo Sme e come è accaduto dopo le pur drammatiche svalutazioni di Argentina e, recentemente, Islanda. Il maggior costo del petrolio, invece, essendo in gran parte fiscalizzato, potrebbe essere ammortizzato con una corrispondente riduzione delle accise. Non dimentichiamo che i problemi sono generalizzati, non solo nostri, e una svalutazione italiana (se gestita prima che le cose peggiorino ulteriormente) difficilmente sarebbe prevedibile oltre il 20%.
3) Quali sarebbero le grandezze
Gran parte dei circa 9.500 miliardi della ricchezza nazionale lorda è costituita da beni che il cui valore non dipende da cambi di moneta: come gli immobili, le partecipazioni o i titoli esteri. Vengono invece impattati i titoli di debito domestici, soprattutto detenuti da soggetti esteri che otterrebbero un rimborso in una valuta di valore inferiore con conseguente default sulle obbligazioni. Anche in questo caso per la maggior parte la bomba è già scoppiata: il valore largamente inferiore dei nostri Btp rispetto ai Bund tedeschi incorpora già abbondantemente questo rischio. Difficile aspettarsi molto di peggio rispetto a quanto già accaduto ed in ogni caso le conseguenze sarebbero più per gli investitori esteri che per quelli domestici. Rimane l’incognita dei depositi che, se l’uscita dall’euro fosse gestita in modo ordinato, potrebbero anche essere mantenuti in euro, al pari di un normale conto in valuta, disattivando il rischio di fughe disordinate di capitali (peraltro già da tempo in atto per causa del fisco). Ci sono alternative? Certamente, ma adesso con l’eurobomba sul tavolo si dovrà forzatamente fare i conti con essa, confrontando i pro e i contro di ogni scelta.
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