A ondate, come il gran caldo di questi giorni dovuto all'anticiclone africano, diventa bollente il problema della carenza di taxi. Si parla di emergenza, di situazione ormai insostenibile. E via lamentandosi. Fino alla prossima volta. Che la questione sia seria nessuno può dubitarne. Il punto è che mai si è affrontata con giudizio, provando a risolverla una volta per tutte.
Dunque, il pasticciaccio non è figlio di questo tempo. E neppure responsabilità di questo esecutivo. La carenza del servizio viene da lontano. Da una politica che mai ha inteso avviare un percorso virtuoso di liberalizzazione di questo servizio fondamentale. Non è tollerabile vedere code lunghissime fuori dalle stazioni oppure vivere l'esperienza estenuante dei tempi d'attesa infiniti al telefono con la musichetta che solo innervosisce. La domanda cresce e l'offerta di taxi è del tutto inadeguata.
Dunque, va ampliato il parco delle vetture. Allargando la platea dei soggetti che possono assicurare un servizio sotto il segno dell'efficienza. Quindi la strada è una sola: eliminare il monopolio e liberare finalmente questo mercato.
Nulla di «selvaggio» ma tutto dettato da raziocinio e visione illuminante. In questo Paese è storicamente complicato promuovere liberalizzazioni e privatizzazioni autentiche e non monche, parziali e pertanto poco soddisfacenti. Prevalgono sempre interessi di parte, tesi a non scontentare le cosiddette caste, quelle che esercitano il potere, che presidiano il proprio territorio. Logiche corporative che non fanno il bene delle collettività.
Un Paese moderno è chiamato a risolvere i problemi che ne inficiano la vita quotidiana. E quello della carenza dei taxi con annessi disservizi è tutt'altro che trascurabile. In modo particolare oggi con la ripresa di un forte turismo.
I bonus verso la categoria non sono la soluzione, non eliminano il problema alla radice. Liberalizzare è il verbo della svolta. Più libertà di scelta significa maggiore soddisfazione. E servizi migliori. Elementare, Watson!
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