Il pas assez, non abbastanza, con cui i mercati avevano storto il naso all'inizio di maggio di fronte al mancato allargamento da parte di Christine Lagarde del Pepp, il piano di acquisti per l'emergenza pandemica, potrebbe domani diventare un ça suffit, cioè un va bene così. Gli analisti sono infatti concordi nel ritenere maturi i tempi per allargare l'ammontare e il perimetro del bazooka messo in campo dalla Bce per contrastare gli effetti distruttivi del Covid-19. Se così sarà, i benefici per l'Italia potrebbero essere immediati sotto forma di un ulteriore raffreddamento delle tensioni sugli spread.
Le attese rimandano a un irrobustimento del pacchetto, che al momento vale già 750 miliardi, compreso in una forchetta da un minimo di 250 fino a un massimo di 1.000 miliardi, più una sua estensione fino alla metà del 2021. Ma c'è anche chi, come Bank of America, mette in conto un approccio più prudente e articolato in due mosse: 3-400 miliardi subito, e solo in settembre il dispiegamento di ulteriori risorse se gli strascichi della pandemia lo renderanno necessario. L'altra novità sarebbe l'inserimento nel portafoglio dei bond fallen angel, quelli che in seguito alla crisi hanno perso lo status investment grade e sono stati declassati a junk, spazzatura. Né è da escludere la possibilità di un potenziamento da 120 miliardi del Qe classico, che al momento vale 360 miliardi. Un ultimo punto su cui sono previsti chiarimenti riguarda il reinvestimento del capitale dei titoli che scadono e sono rimborsati nel Pepp, un'opzione non ancora prevista.
È evidente come l'aumentata potenza di fuoco finirebbe per aiutare i titoli di Stato più soggetti a turbolenze grazie all'intensificarsi degli acquisti. Resta però da vedere se, proprio per avere completa libertà d'azione, Francoforte deciderà di abbattere uno steccato invalicabile come quello della regola del capital key, cioè lo shopping ripartito in base alla quota delle banche centrali nazionali nel capitale dell'Eurotower. Finora, non è ancora successo. Lo confermano proprio i dati diffusi ieri dalla stessa Bce secondo cui, nei primi due mesi di attività del nuovo bazooka, sono stati comprati bond sovrani tricolori per 37,36 miliardi, da sommare ai 2,85 miliardi inglobati nel Qe tradizionale. Ma proprio l'obbligo della ripartizione pro quota ha imposto, nello stesso periodo di tempo, di mettere in cassaforte Bund tedeschi per 46,74 miliardi e obbligazioni francesi per 23,57.
Rompere il tabù della capital key, iscritto nel Dna della Bce, non è un passo facile. Anche se il coronavirus sembra aver silenziato i falchi del board, la sostanziale bocciatura del quantitative easing arrivata con la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca potrebbe indurre la Bce alla cautela, malgrado il consiglio direttivo abbia già fatto sapere di non riconoscere l'autorità dei giudici di Karlruhe, ma solo quella dell'Alta Corte europea. La necessità di un intervento tale da rendere ancora più extra-large il Pepp sembra giustificata dalle misure finora insufficienti messe in campo dall'Europa (circa 540 miliardi fra Mes, Sure e Bei) e dai tempi lunghi che si renderanno necessari per mandare in porto il Recovery Fund, vista l'ostilità dei Paesi rigoristi. Non potendo prevedere se e in che misura il progetto della Commissione Ue subirà una decurtazione rispetto alla somma proposta di 750 miliardi, calibrare l'entità dell'intervento non sarà un compito facile.
Nel decidere, è probabile che l'Eurotower si affidi alle nuove stime di crescita che saranno presentate a margine della riunione di domani (picchiata del Pil 2020 fra l'8 e il 12%), decisamente più
aderenti alla realtà rispetto a quelle del 12 marzo (+0,8%), e ai dati, in arrivo oggi, dal versante della disoccupazione in Italia (prevista in salita dall'8,4 di aprile al 9,5% di maggio) e in Germania (dal 5,8 al 6,2%).
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