La Bce racconta favole sull'inflazione

La presidente Lagarde: "È giunta dal nulla". Tassi, oggi attesa la stretta Fed da 0,75%

La Bce racconta favole sull'inflazione

L'Inflazione è arrivata «praticamente dal nulla». Da Christine Lagarde c'è sempre da imparare. Anche quando racconta favole. Adesso, per bocca della capa della Bce, veniamo a conoscenza che la tranvata assestata al nostro potere d'acquisto dall'impazzimento dei prezzi è colpa di una meteorite che si è schiantata sulla terra. Un corpo celeste che, così pare, era talmente irrilevante nella sua orbita da non essere rivelato dai radar dell'Eurotower. Giusto per dover di cronaca, tocca invece ricordare come allo scoppio della crisi da Covid l'eurozona fosse ancora in una situazione di quasi deflazione e che solo le strozzature nelle catene di approvvigionamenti causate dalla pandemia e, in particolare, dai lockdown imposti dalla Cina abbiano in seguito acceso le prime fiammelle inflazionistiche. Quelle catalogate dall'ex numero uno del Fondo monetario internazionale come un mero fenomeno transitorio, destinato presto a essere riassorbito. Questa sottovalutazione ha finito per ritardare il processo di normalizzazione dei tassi d'interesse e, di conseguenza, anche la lotta al carovita. Diventata poi con la guerra in Ucraina una missione quasi impossibile, visto che l'inflazione è generata sostanzialmente da uno choc sul lato della domanda. Nessun asteroide, quindi, ma un mostro a più teste che da subito doveva risultare visibile. Complice la robusta ripresa dopo la rimozione delle misure di clausura collettiva, il momento migliore per cambiare registro alla politica monetaria sarebbe stato probabilmente la parte terminale del 2021 o, al più tardi, l'inizio di quest'anno. Non è invece successo nulla fino allo scorso luglio, anche per evitare ulteriori tensioni sui rendimenti dei bond sovrani. I ritardi accumulati nei mesi obbligano ora Francoforte a rincorrere un avversario sempre più ipertrofico (inflazione al 10,7% in ottobre) a colpi di strette al costo del denaro. «Decideremo il percorso futuro e il ritmo dei nostri aumenti dei tassi riunione per riunione», ha ribadito ieri Lagarde, confermando l'intenzione di procedere con altri giri di vite che potrebbero portare i tassi dall'attuale 2% al 3% entro l'anno prossimo e trascinare Eurolandia in recessione.

Un rischio che corre anche la Federal Reserve. Ma con le offerte di lavoro aumentate a sorpresa negli Stati Uniti in settembre a 10,7 milioni dai 10,3 milioni di agosto, indice di un'economia resiliente, la banca centrale Usa ha ancora margini per affrontare a muso duro il caro-prezzi, il nodo che sta costando a Joe Biden una forte perdita di consensi a una manciata di giorni dal voto di medio-termine, in agenda il prossimo 8 novembre. «Con quasi 1,9 posti di lavoro aperti per ogni disoccupato, la rigidità del mercato del lavoro rimane una sfida chiave per controllare l'inflazione», commenta Ron Temple, capo del comparto azionario statunitense di Lazard Asset Management. Gli analisti non sembrano aver dubbi sul fatto che oggi Jerome Powell scodellerà il quarto aumento consecutivo dei tassi di 75 punti base che collocherà il costo del denaro al 3,75-4%. Un livello alto, ma non ancora abbastanza per considerare a portata di mano il cosiddetto pivot. Goldman Sachs stima infatti che il picco sarà raggiunto attorno al 5%.

Reduce dal miglior mese dal gennaio 1976 (il Dow Jones ha sfiorato un +14% in ottobre), per continuare il rally Wall Street non aspetta altro che un minimo segnale dalla Fed che il picco dell'inflazione è vicino. Una stretta in dicembre di appena mezzo punto potrebbe confermare, agli occhi del mercato, che il punto di svolta non è poi così distante.

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