Borse di nuovo in corsa e oro mai così prezioso

Il metallo giallo sfiora i 2.500 dollari. Il fattore Brics

Borse di nuovo in corsa  e oro mai così prezioso
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Non c'è solo il Fed Watch a dare per scontato un taglio dei tassi Usa dello 0,25% in settembre. Un'altra spia dell'ormai prossimo allentamento sono le quotazioni dell'oro, balzate ieri al massimo storico di 2.492,55 dollari l'oncia (+1,27%) subito dopo la pubblicazione dei permessi di costruzione negli Stati Uniti di luglio. Un dato poco brillante (-4% il mese scorso) che mostra da un lato come le prospettive dell'economia americana non siano particolarmente rosee e, dall'altro, consolida le attese di un intervento da parte del caos della Federal Reserve, Jerome Powell (nella foto), per scongiurare il rischio di recessione.

Storicamente, i prezzi del metallo giallo si sono mossi sempre verso l'alto in concomitanza con un ammorbidimento del costo del denaro, poiché la manovra va a impattare sulle quotazioni del dollaro e sui rendimenti dei T-bond. Ma la risalita sta avvenendo con una rapidità sorprendente per gli analisti e, fenomeno inusuale, in un momento in cui i mercati azionari hanno del tutto smaltito i forti ribassi subiti nell'ultimo Black Monday. C'è quindi un flusso di denaro che si riversa sulle Borse e in particolare su Wall Street, che ieri ha chiuso la settimana con un guadagno di circa il 3,5% dello S&P 500 e del 5% del Nasdaq, ma che viene indirizzato anche verso l'Europa (ieri +2,2% Milano; +1,43% lo Stoxx600), dove stanno crescendo le aspettative di una Bce più accomodante; e ce n'è un altro che, appunto, sta facendo lievitare i corsi del metallo più nobile e spiegabile non solo con la partita sui tassi.

Di fatto, l'oro continua a trovare sostegno nelle tensioni geopolitiche, acuite dal recente sconfinamento ucraino in Russia e dalla possibile rappresaglia dell'Iraq nei confronti di Israele dopo l'uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh. Insomma, rimane «richiesto come bene rifugio», ha detto Carsten Fritsch, analista di Commerzbank. Ma dietro il balzo potrebbero esserci pure gli acquisti delle banche centrali. Secondo gli ultimi dati disponibili del World Gold Council, da gennaio a fine aprile gli istituti di emissione hanno comprato circa 40 tonnellate di oro al mese, contribuendo a far lievitare i prezzi del 15%. Non è però da escludere che lo shopping sia proseguito nei mesi successivi e abbia visto in prima fila le banche centrali dei Paesi emergenti, che puntano a diversificare le riserve in valuta estera, e quelle dei Brics capitanati da Russia e Cina, il cui obiettivo è l'affrancamento dal dollaro.

Un altro motivo potrebbe essere legato ai livelli del debito statunitense, che ha superato il muro dei 35mila miliardi di dollari e viene considerato da alcuni economisti insostenibile se l'amministrazione che uscirà dalle urne non aumenterà le tasse o taglierà la spesa federale.

Negli Usa «l'inflazione è causata dal fatto che il governo spende più di quanto guadagna, perché per compensare la differenza stampa semplicemente più moneta», ha scritto sul suo social network, X, il numero uno di Tesla, Elon Musk. Tutti nodi spinosi che né Donald Trump, né Kamala Harris stanno mettendo al centro della campagna elettorale.

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