Partenza in salita per il rientro in Borsa di Carige che sconta l'incertezza sul futuro del gruppo. Ieri, dopo 32 mesi di sospensione dalle contrattazioni, il titolo della banca genovese è riuscito a fare prezzo solo in chiusura a 0,6318 euro (pari a una capitalizzazione di 477 milioni). L'ultima quotazione ufficiale, registrata il 28 dicembre 2018, è stata di 0,0015 euro (1,53 tenendo conto del raggruppamento successivo) per una capitalizzazione di 82,9 milioni.
Oltre al flottante estremamente ridotto (l'11% circa del capitale), sul gruppo ligure pesano gli interrogativi sollevati dallo stesso prospetto che riconosce le «significative incertezze in merito alla prospettiva della continuità aziendale» e definisce l'aggregazione come «un'azione essenziale» anche se non scontata. Carige ha messo nero su bianco che avrà bisogno di un'iniezione di altri 400 milioni entro il 2022 per rispettare i parametri della Bce, a meno di non riuscire a convolare a giuste nozze.
Un traguardo tutt'altro che semplice da agguantare, considerando che il gruppo viaggia in profondo rosso (l'istituto potrebbe registrare a fine anno una perdita superiore ai previsti 84 milioni), che l'ex socio di riferimento, la famiglia Malacalza, ha chiesto 539 milioni di danni e che su mercato c'è già un altro pezzo da novanta in cerca di acquirenti, Banca Mps da cui il Tesoro (azionista al 64% del capitale), sulla base degli impegni presi con l'Europa, deve uscire entro fine anno.
Oggi lo Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) ha in carico il l'80% del capitale di Carige a 0,17 euro per azione, mentre Cassa Centrale Banca, dopo aver rinunciato a salire al controllo del gruppo, è rimasta con l'8,3% del capitale allo 0,6 euro per azione. «Sebbene il Fondo abbia avviato il processo di dimissione del proprio 80% (dando un mandato a Deutsche Bank), non vi è certezza circa il se e il quando sarà realizzata».
Il rischio di ingorgo con la tempistica necessaria a risolvere il nodo Mps è evidente. Entro il prossimo anno, Rocca Salimbeni dovrà ricorrere a un altro aumento di capitale da 2,5 miliardi a meno che, nel frattempo, il Tesoro e il suo direttore generale, Alessandro Rivera, non riescano a trovare un acquirente. Il tema ieri è stato sollevato all'interno di una audizione parlamentare di Laura Castelli, viceministro dell'Economia e delle Finanze. «A oggi solo il Fondo Apollo risulta aver chiesto accesso al data room della banca», ha dichiarato Castelli, nella parte non secretata dell'audizione, per poi proseguire: «Le interlocuzioni tra gli uffici del ministero e quelli della Commissione Ue sono in corso e questi ultimi sono in attesa di sapere se si concretizzi o meno l'ipotesi di una aggregazione per poter valutare le proposte di revisione degli impegni che la banca ha presentato nel piano industriale».
La viceministro ha poi aggiunto che «sul fronte dei costi la banca proseguirà l'efficientamento dei processi operativi e l'alleggerimento della struttura organizzativa». In merito, fonti bancarie, parlano di un possibile piano da 5-6mila esuberi che potrebbe essere un ulteriore tassello utile a spianare la strada all'agognato fidanzamento con Unicredit.
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