Il settore delle catene di abbigliamento-accessori e ristoranti sta vivendo una stagione in chiaroscuro. I meccanismi che l'avevano proiettata nell'Olimpo degli interessi degli investitori, soprattutto con gli «incubatori» che ne contenevano le attività in cambio di significativi canoni locativi, hanno perso smalto. Negli ultimi dieci anni, prima i grandi fondi americani di private equity e poi quelli europei, hanno avviato una ritirata collettiva dagli investimenti nel settore, seguendo il mutamento dei gusti dei consumatori. A incidere molto sui diversi comportamenti dei consumatori è stato il Covid, a cui si è sommato un quadro macroeconomico difficile, che ha penalizzato le aziende di prodotti di consumo e i loro insediamenti commerciali. Nei due anni della pandemia l'industria di approvvigionamento dei beni di consumo ha così faticato a riprendere quota. La volatilità del mercato e i tassi di interesse elevati associati alla diminuzione del potere di acquisto dei consumatori, dovuto al pressante ciclo inflativo, hanno poi aggravato le difficoltà delle aziende di beni di consumo. Una situazione avvertita in Italia soprattutto dalle piccole imprese produttive a carattere familiare e dai canali di vendita che puntavano ai centri commerciali in ragione di massicce affluenze, che hanno invece subito un sostanziale calo. Riducendo così l'interesse degli investitori sia per la costruzione di nuovi insediamenti sia per le imprese produttive di largo consumo. Tutto questo ha allertato il modello di business del private equity basato su settori stabili, che generano flussi di cassa valutabili e a prova di recessione.
Le aziende di beni di consumo, di norma in grado di resistere alla volatilità del mercato, sono così diventate più vulnerabili e, quindi, meno interessanti. L'e-commerce ha ottenuto sempre più il gradimento dai consumatori. Gli stessi marchi più affermati del lusso hanno puntato su Internet per la vendita al dettaglio. In molti Paesi esteri, a cominciare dagli Usa, sono così iniziati i fallimenti tra i grandi centri commerciali.
Malgrado tale contesto, nel nostro Paese, e in particolare modo a Milano, è proseguita l'espansione di nuovi maxi-centri commerciali, pianificati negli anni precedenti. E ormai basati quasi esclusivamente su grandi poli di vendita alimentare, i cui siti sono direttamente finanziati dagli stessi proprietari dei marchi della grande distribuzione, tra i quali spicca Esselunga. I fondi di private equity hanno invece rinunciato o molto ridimensionato gli investimenti in maxi centri commerciali.
Preferendo orientarsi sempre più verso imprese di produzione di alta qualità, che dimostrano massima attenzione ai tre pilasti della sostenibilità, ovvero, ambientale, sociale ed economica. Sarebbe opportuno che lo Stato premiasse fiscalmente le imprese che adottano i pilastri della sostenibilità, in modo da favorire l'interesse degli investitori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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