Il governo giallorosso prepara per inizio settembre una serie di tavoli tecnici e politici in cui saranno discussi approfonditamente i progetti di riforma del sistema pensionistico in vista della chiusura della finesta triennale di Quota 100 nel 2021. Cgil, Cisl e Uil saranno ricevuti dal ministro del Lavoro Nunzia Catalfo per esprimere le loro idee riguardo la previdenza pensionistica, prossima a una radicale riforma dopo la fine dell'esperimento inaugurato dal governo gialloverde nel 2018.
Per i giallorossi la partita è estremamente scivolosa. Giuseppe Conte sa che, nonostante i diversi umori interni alla sua maggioranza, non può sconfessare pubblicamente la riforma voluta fortemente dalla Lega di Matteo Salvini, da un lato perchè messa in cantiere da un governo da lui presieduto e dall'altro perchè i dati hanno dimostrato che di tutto si è trattato fuorchè di una riforma che ha sfasciato i conti pubblici. Per il 2019 i costi della riforma dell'anno precedente sono ammontati a 5,2 miliardi di euro, oltre 600 milioni meno di quanto indicato nella relazione tecnica al Ddl di Bilancio. Inoltre, è bene ricordare che risulterebbe politicamente problematico mettere il veto alle opzioni di uscita anticipata in una fase in cui i consensi per pentastellati e dem languiscono.
Nel confronto coi sindacati saranno discusse due opzioni. Da un lato vi è la proposta allo studio da parte dei tecnici del governo: "camuffare" il mantenimento degli scivoli e delle possibilità di uscite anticipate dal mercato del lavoro introducendo un meccanismo di penalizzazione dei premi pensionistici. Come scrive Il Messaggero, i giallorossi stanno ipotizzando di "consentire a chi lo desidera l'uscita anticipata a 62-63 anni di età accettando un taglio del 2,8-3% del montante retributivo (introdotto nel 1996) per ogni anno che serve per raggiungere quota 67 anni. Vale a dire l'orizzonte ordinario della pensione". Secondo le stime del quotidiano romano, con questa finestra di opportunità 150mila lavoratori all'anno andrebbero in pensione rinunciando mediamente al 5% del trattamento.
Dall'altro lato abbiamo invece la proposta dei sindacati confederali. Estendere a livello della platea generale l'opzione "Quota 41": ottenuta la maturazione di 41 anni di contributi, il lavoratore può richiedere automaticamente il pensionamento, come possono fare oggi quei lavoratori precoci che all'età di 19 anni avevano alle spalle almeno un anno di contributi versati. Quota 41 è un vecchio obiettivo della Lega, ma l'ipotesi non scalda i cuori dell'esecutivo, che secondo quanto riportato nelle ultime settimane potrebbe accettare di virare su questa riforma solo se contemplasse una forte decurtazione degli assegni. Fino ad arrivare ad accarezzare, come ricordato dal Giornale di recente, "l'idea della penalizzazione, ossia eliminare il calcolo di quota retributiva per coloro che hanno iniziato a lavorare prima della riforma Dini (1 gennaio 1996)". Proposta a dir poco dannosa, che segnala gli effetti politici dell'attacco ai diritti acquisiti lanciati dalla componente pentastellata degli ultimi due esecutivi, mentre sul legame tra Quota 41 e parte contributiva si è espresso anche il presidente dell'Inps Pasquale Tridico, per il quale "se volessimo anticipare per tutti l'uscita dal lavoro, questo dovrebbe essere possibile solo passando al contributivo". Il passaggio totale al contributivo è oggi riservato a singoli settori dell'ambito previdenziale, come Opzione Donna, ma l'ampia platea di lavoratori interessati dal cambio dei due sistemi sarebbe lasciata a metà del guado da una svolta tanto netta.
Nell'esecutivo, sostanzialmente, sembra che la priorità sulle pensioni sia tagliare, rinunciare a qualsiasi idea di semplificazione e cercare un bilanciamento elettorale prima ancora che politico ed economico.
Nè M5S nè Pd hanno una proposta organica in materia, se non la volontà di superare Quota 100 per cancellare l'eredità leghista: di questo passo non si va lontani e, anzi, si rischia di aumentare le incertezze che gravano sulle categorie dei pensionati di oggi e dei soggetti in uscita dal mercato del lavoro negli anni a venire.
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