Nel nostro Paese la storia delle concessioni di asset pubblici a privati ha risvolto complessi. E non di rado, come noto, sono state scritte pagine dal forte contenuto opaco. È opportuno ricordarselo proprio di questi tempi nel quale l'Italia è impegnata in una delicata operazione di ripresa con la regia del premier Draghi. I casi più eclatanti e chiacchierati riguardano le vicende della concessione a Benetton della rete autostradale più appetita e a Luca di Montezemolo e soci quella ferroviaria per avviare l'attività di Italo.
Il punto critico non riguarda, ovviamente, l'ingresso di privati in operazioni di alto lignaggio che dovrebbero assicurare al cittadino/contribuente un servizio pubblico di assoluto livello. Ciò che rende la vicenda assai discutibile, per non dire altro, attiene al fatto che i due soggetti imprenditoriali hanno potuto cogliere al volo l''opportunità di sedersi a una tavola già accuratamente apparecchiata. In pratica un business in larga misura agevolato per la semplice ragione che le reti infrastrutturali c'erano già. Dunque, un rischio d'impresa certamente ridotto con la conseguenza di poter realizzare una crescita (utili) molto importante. Senza per questo garantire ai clienti e cioè a tutti noi un servizio all'altezza delle nostre legittime esigenze. Un tipico esempio di stortura legato alla formula del capitalismo di relazione e del do ut des. E di una malintesi applicazione delle tanto auspicate privatizzazioni.
La materia delle concessioni pubbliche è difficile per definizione. Perché in gioco vi sono interessi di peso e un protagonismo della politica spesso incline al vizio del favore.
Tuttavia, nella necessaria logica di sviluppo del Sistema Italia, questa partita va giocata e vinta. Nel segno della trasparenza. Per questo il passaggio alla riforma delle concessioni è fondamentale. Ma occorre che si tenga tutti gli occhi ben aperti. Per non ripetere i gravi errori del passato.
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