Venerdi pesante per le borse europee, con circa 140 miliardi di euro bruciati in una seduta. Il motivo essenzialmente è questo: la decisione della Federal reserve di mantenere invariati i tassi, con il conseguente rafforzamento dell’euro. L’indice Stoxx 600, che contiene i principali titoli dei listini del Vecchio continente, ha ceduto l’1,84%. L’euro ha chiuso debole a 1,1382 dollari, dopo aver toccato un massimo da tre settimane di 1,1459 dollari. Lo yen arretra sul dollaro a quota 119,94 ed è stabile sull’euro (136,44).
Nei corridoi di Wall Street e tra economisti e analisti tutti si sono chiesti: se non ora quando? Il pensiero di tutti è andato alla decisione della Federal Reserve di lasciare il costo del denaro invariato e ai minimi storici, a cui era stato portato a dicembre 2008. La scelta non è stata sorprendente: alla vigilia gli esperti erano sostanzialmente spaccati a metà tra chi prevedeva un rialzo e chi un nulla di fatto, mentre i trader erano più propensi a credere che i tassi di interesse non si sarebbero alzati. A sorprendere gli osservatori, e a mettere il freno ai mercati azionari internazionali (le piazze europee hanno in larga parte chiuso in calo superiore al 2%), sono state le preoccupazioni espresse dalla Federal Reserve sull’economia globale e, in particolare, sulla crescita cinese. "I mercati sono stati sorpresi dal fatto che la Fed non ha cancellato le incertezze, anzi ne ha sottolineate di nuove a livello macroeconomico e finanziario", ha detto al Financial Times Francesco Garzareli, analista di Goldman Sachs. Ora però il punto è capire quando la Banca centrale americana deciderà di aumentare il costo del denaro: il presidente dell’istituto Janet Yellen ha sottolineato che la maggior parte dei membri del Fomc continua a prevedere un rialzo entro fine 2015 e ha ribadito che il meeting di ottobre "è una possibilità".
Ma gli analisti, come spesso accade, sono divisi. Secondo un sondaggio condotto da Cnbc, il 64% degli economisti attende un rialzo entro fine anno, più probabilmente a dicembre (56%) che non il mese prossimo (5%). "Se volatilità dei mercati globali e crescita dei mercati emergenti si stabilizzeranno e il loro impatto sull’economia americana rimane limitato, non c’è motivo perché la Fed non debba cominciare ad aumentare i tassi", ha detto Nick Gartside, responsabile degli investimenti nel reddito fisso di JpMorgan Asset Management. Ma c’è anche chi ritiene che il primo giro di vite arriverà nel 2016, visto che le debolezze evidenziate dalla Fed non sembrano destinate a esaurirsi nel breve periodo. "È possibile che il rallentamento cinese sia anche peggiore di quanto si teme e, in questo caso, è probabile che un secondo piano di stimolo della Banca centrale europea arrivi prima di un giro di vite da parte del Fomc", ha detto Michael Michaelides di Rbs.
I mercati sembrano scommettere su dicembre: i future sui fed fund, lo strumento con cui gli investitori scommettono sulla politica della Fed, la probabilità di un rialzo dei tassi il mese prossimo è pari al 16%, mentre per dicembre è al 42%.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.