Nulla di buono per gli italiani sul fronte della tasse. Dagli ultimi dati disponibili, media 2019, la Cgia ha spiegato che la pressione fiscale nel nostro Paese è nuovamente tornata a salire. E neanche di poco. Oggi, infatti, ha raggiunto il 42,4% del Pil, in aumento rispetto al 2018 di 0,7 punti percentuali. Un colpo pesante per i cittadini già alle prese con la crisi economica provocata dall’emergenza sanitaria. Questo incremento è avvenuto dopo 5 anni di costante riduzione del carico fiscale. Il picco massimo storico fu toccato nel 2013: da lì in poi il peso di tasse e contributi ha cominciato a scendere, in particolar modo con l'esecutivo guidato da Renzi che, tra le altre cose, ha eliminato l'Imu sulla prima casa e ha alleggerito il costo del lavoro dei neo assunti.
Nel 2020 la situazione è ben diversa. "Premesso che con la pubblicazione della Nota di aggiornamento al Def prevista nei prossimi giorni avremo contezza della soglia raggiunta quest'anno, abbiamo l'impressione che la pressione fiscale sia destinata ad aumentare ulteriormente. Non tanto perché sono state ritoccate all'insù le aliquote, cosa che infatti non è avvenuta, ma perché registreremo una caduta verticale del Pil più significativa della contrazione registrata dalle entrate", ha spiegato la Cgia. "Ricordiamo, infatti, che la pressione fiscale- ha aggiunto- è data dalla somma delle entrate tributarie e di quelle contributive; il risultato di questa operazione deve poi essere rapportato al Pil e, successivamente, moltiplicato per 100".
Tra i 28 Paesi che nel 2019 costituivano l'Unione europea, la Cgia rileva che l'Italia si è classificata al sesto posto per quanto riguarda il peso della pressione fiscale in percentuale del Pil. Dallo studio emerge che è la Danimarca a presentare il carico fiscale più importante (47,6%). In questa non invidiabile classifica seguono la Francia (47,3%), il Belgio (45,5%), la Svezia (43,5%) e l'Austria (42,9%). Al sesto posto, ecco l’Italia (42,4%). Tra i nostri principali competitor la Germania presenta un peso fiscale complessivo del 41,6%. Molto più bassi i numeri di Regno Unito e Spagna: entrambe hanno un carico fiscale complessivo del 35,2%. Ben 7,2 punti di tasse in meno rispetto al nostro Paese.
La Cgia ha anche calcolato che se si contasse su una pressione fiscale pari a quella media europea, ogni famiglia italiana risparmierebbe 1.506 euro di tasse all'anno. Avendo registrato una pressione fiscale superiore di 2,2 punti percentuali rispetto al dato medio dell'Unione, nel 2019 ogni famiglia italiana avrebbe risparmiato 1.506 euro. Addirittura con le tasse di Spagna e Regno Unito gli italiani risparmierebbero 5mila euro a famiglia.
Quello delle tasse alte non è l’unico problema per l'Italia. Perché nel nostro Paese risulta pure complicato pagarle. L’Italia, infatti, assieme al Portogallo è lo Stato dove pagarle è più difficile, in particolar modo per le aziende. In base alle ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), i nostri imprenditori impiegano 30 giorni all'anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute, per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all'Amministrazione finanziaria e, infine, per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte. In Francia, invece, per espletare le incombenze burocratiche sono necessari solo 17 giorni (139 ore), in Spagna 18 (143 ore) e in Germania 27 (218 ore), mentre la media dell'Area dell'Euro è di 18 giorni (147 ore). I dati, riferiti al 2018, riguardano a una media impresa (società a responsabilità limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti.
Senza dimenticare che gli italiani pagano tanto per avere pochi servizi. La Cgia ha spiegato che un peso tributario eccessivo come quello presente nel nostro Paese costituisce un duplice problema: innanzitutto alleggerisce la disponibilità economica di tante famiglie e di altrettante imprese e poi perché drena risorse che altrimenti potrebbero essere investite per favorire i consumi, gli investimenti e, quindi, lo sviluppo del sistema economico.
"Con un carico fiscale così eccessivo e una platea di servizi erogati dalla nostra Pubblica amministrazione che negli ultimi anni è scesa sia in termini di qualità che di quantità, questa situazione ha contribuito a determinare una contrazione della domanda interna e un crollo degli investimenti pubblici. Ma oltre a tagliare le tasse è altrettanto importante semplificare il nostro sistema fiscale", ha sottolineato il segretario della Cgia, Renato Mason. "Pagare le imposte- ha aggiunto- è diventato sempre più difficile: lo dicono gli esperti, come i commercialisti e i tecnici delle associazioni di categoria. Figuriamoci come la pensano i piccoli imprenditori che oltre a occuparsi della propria attività, spesso sono chiamati a misurarsi con una burocrazia fiscale astrusa e scriteriata che non ha eguali nel resto d'Europa".
Nel prossimo futuro la Cgia chiede la governo un cambio di passo. Tanto che nella manovra 2021 si rende necessario un taglio delle tasse da 20 miliardi. Per il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo,"con la prossima legge di Bilancio è necessario un intervento choc che nel giro di qualche anno riduca di almeno 3-4 punti percentuali la pressione fiscale. Chi ritiene che siano sufficienti solo 10 miliardi si sbaglia di grosso: questa cifra è insufficiente. Per il 2021 è necessaria una contrazione di almeno 20 miliardi di euro e questo obbiettivo potrà essere raggiunto solo se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte delle agevolazioni fiscali". Secondo Zabeo "compiere questa operazione, comunque, non sarà per niente facile.
Negli ultimi 10 anni, infatti, la spending review non ha prodotto risultati apprezzabili, mentre il numero delle deduzioni e delle detrazioni fiscali è aumentato a dismisura, soprattutto in questo periodo di Covid".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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