Francoforte ha ragione: Jobs Act arma spuntata

La Bce chiede all'Italia più riforme. Ma ha i suoi buoni motivi

Francoforte ha ragione: Jobs Act arma spuntata

Ogni mese la Bce pubblica il suo Bollettino, che spesso è l'occasione per esortare i governi dell'eurozona a darsi una svegliata. Adesso, con la pubblicazione di marzo, l'Eurotower sottopone il governo italiano in carica a una critica tanto garbata nella forma, quanto chiara e tagliente nella sostanza. La Bce scrive che per l'Italia e il Belgio continua ad esservi un notevole scostamento dallo sforzo strutturale richiesto nell'ambito della regola del debito. E ciò desta preoccupazione: l'Ue ha deciso di non aprire verso di noi una procedura per deficit eccessivo, come avrebbe dovuto, dato l'insufficiente risanamento.

Attenzione: la Banca centrale non sostiene che l'Italia avrebbe dovuto attuare un maggior rigore di natura fiscale. Dice che ci sono mancate significative riforme del mercato del lavoro e liberalizzazioni. Queste due politiche, attuate insieme, potrebbero portare a una crescita del Pil di entità sostanziale.

Ciò - dice la Bce - comporterebbe, una riduzione del rapporto fra debito e Pil dato che il Pil aumenterebbe in un certo numero di anni del 10%. E consentirebbe anche riduzioni automatiche di deficit a parità di spese, perché aumenterebbero le entrate. E consentirebbe anche riduzioni automatiche di deficit a parità di spese. Ciò lascerebbe spazio anche a moderazioni fiscali.

Questa critica della Bce riguarda un aspetto fondamentale della politica del governo, ossia il Jobs Act, che secondo Renzi è una incisiva riforma del lavoro, capace di far crescere la nostra economia. Per la Bce non lo è, in quanto essa scrive che ci occorre «una riforma significativa» di tale materia. E lo scrive ora, mentre la nuova legge è in attuazione. Si stanno effettuando molte assunzioni, con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che il Jobs Act incentiva con generosi esoneri fiscali per i primi anni. Ma, oltre al beneficio fiscale (che ci accolliamo noi contribuenti), il contratto in questione ha un solo vero incentivo: il diritto a licenziare, anche individualmente, per motivi economici, i lavoratori assunti con tale contratto.

Meno chiaro è se e quando i nuovi lavoratori possono esser licenziati per motivi disciplinari, come l'assenteismo, il rifiuto a trasferirsi ad altre mansioni o altri turni di lavoro.

Il diritto a licenziare, comunque, è un bazooka, che l'impresa può usare come arma, in casi estremi, con il rischio di crearsi impopolarità e disaffezione. La vera riforma del contratto di lavoro, per renderlo flessibile, sta nel contratto aziendale che prevale su quello nazionale di categoria ed è valido nel rispetto di alcuni principi generali. È il modello che toglie peso alle corporazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La Bce, sostiene che per la nostra crescita e il nostro risanamento finanziario occorre assommare a una significativa riforma del mercato del lavoro una politica di liberalizzazioni. Ma in Italia, ciò non sta accadendo. Il governo Renzi non lo fa né per le migliaia di imprese delle Regioni e degli enti locali, né per le imprese statali come la Rai o le Poste, nè in altri settori, come l'urbanistica e l'edilizia e nelle grandi opere o nella banda larga. La politica renziana è opposta: mira ad accrescere i poteri del governo, del potere giudiziario inquirente e di controllori vari.

Occorre il libero mercato, nel lavoro e nell'economia per la crescita e l'occupazione. La Bce, con le misure espansive attuali, offre le condizioni monetarie e creditizie per innescare questa spirale virtuosa. Ma l'autobus non si ferma due volte.

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