Gas, i timori dei partner sull'Italia: "Fermerete la produzione?"

Le aziende nel distretto del Canavese Occidentale e le lettere dei clienti. Giancarlo Buffo: "Serve localismo strategico"

Gas, i timori dei partner sull'Italia: "Fermerete la produzione?"

Poco meno di sei mesi fa, all’inizio della guerra in Ucraina, nel polo industriale di Brescia, tra le fonderie che lavorano l’ottone, era forte il timore di non riuscire a reggere la “botta”. Il costo dell’energia, che cresceva già da qualche mese, era esploso a tal punto da trasformare le bollette mensili in un bollettino di guerra. “Non sappiamo se a settembre saremo ancora aperti”, raccontavano al Giornale. Da quel giorno di “bonus” statali ne sono passati sotto i ponti. Il governo Draghi nei giorni scorsi ha varato aiuti per 8,4 miliardi di euro, molti dei quali finanziati dagli extra-gettiti delle aziende che distribuiscono elettricità. Eppure rischia di non bastare. Le mosse russe per l’autunno sono un mistero e l’Europa, così come l’Italia, si prepara al peggio: il razionamento dell’energia. Un’ipotesi che inizia a spaventare anche i committenti delle industrie italiane, che - secondo quanto risulta al Giornale - hanno inviato lettere preoccupate ai partner per chiedere se e quanto la produzione potrebbe fermarsi.

Aziende italiane a rischio

Prendete la filiera dello stampaggio a caldo del Canavese Occidentale. In questo pezzo di Piemonte si registra il 10% del fatturato della produzione europea e il 3% di quella mondiale della filiera dello stampaggio. Numeri importanti, ma decisamente energivori, con circa 240 aziende costrette a segnare a bilancio un +400% di costi rispetto allo scorso anno. “Il nostro comparto - spiega Giancarlo Buffo, ad di CISLA Srl - lavora per il mercato estero e far digerire questi aumenti alle multinazionali estere non è così semplice”. Tra i prodotti realizzati, anche componenti per Aston Martin, Ferrari, Porsche e Lexus. “Negli altri Paesi gli aumenti ci sono stati, ma in misura meno considerevole rispetto al nostro. Noi, troppo dipendenti dall’estero, siamo quelli che hanno subito più di altri”. Questo significa che se le aziende italiane saranno costrette ad alzare i listini per star dietro agli aumenti di materie prime ed energia, alla fine i committenti potrebbero guardare altrove. Le alternative ci sono. La Spagna, ad esempio. Oppure la Turchia che “avanza prepotentemente”.

"Bloccherete la produzione?"

Il motivo è noto. Trenta anni fa l'Italia estraeva 30 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Oggi solo 4 e il resto lo importa dall’estero, pagando di più e inquinando lo stesso. Sanzioni e ritorsioni russe rischiano di lasciarci a piedi, nonostante gli stoccaggi (al 74%) e le diversificazioni (rigassificatori, Algeria, carbone). L’Ue ha già chiesto di ridurre i consumi del 7%. Bruxelles e Roma hanno nel cassetto dei piani di razionamento pronti all’eventualità. Si parla di abbassare i gradi di riscaldamento, magari di blackout notturni, e probabilmente alle aziende energivore verrà chiesto di consumare di meno. “Stiamo ricevendo dai player internazionali - rivela Buffo - delle lettere dalle loro direzioni strategiche in cui ci chiedono se prevediamo che possano esserci problemi sulla continuità della fornitura”. Come rispondere? “Non possiamo saperlo. Ci sono dei fattori che non dipendono da noi, ma dalle scelte che verranno fatte questo inverno dall’Italia e dall’Ue. Se il governo decidesse di rallentare o razionalizzare l’erogazione di gas ed energia, magari inserendo limitazioni per il comparto, questo creerebbe un grosso problema”. E lo sarebbe anche per il territorio: parliamo di 8mila occupati, 3 miliardi di Pil.

Nucleare e idrogeno per il futuro

La competitività, in certi settori, dipende dall’energia che fa girare le macchine. L’inflazione energetica crea inflazione reale. Ad aumenti sul comparto produttivo corrispondono aumenti sul carrello, il che significa meno acquisti. Se a questo si aggiungono gli aumenti dei tassi d'interesse che riducono gli investimenti, il quadro si fa tinte fosche. Tradotto: impasse del sistema produttivo. “Siamo in enorme difficoltà - insiste Buffo - I crediti di imposta sono serviti, un segnale positivo. Ma ora occorrono investimenti strutturali che guardino al futuro”. Intanto investendo sull’idroelettrico nelle varie “comunità energetiche locali”. E poi puntando su nucleare pulito e idrogeno. “Bisogna adeguare i tempi delle decisioni politiche ed amministrative alla velocità del mercato”.

Eppure - checché ne dica la stampa in genere - non tutti ne fanno una questione di tenuta del governo. Piuttosto di prospettive. “L’agenda Draghi è condivisibile, ma è indipendente da chi la rappresenta”, dice Buffo. Per garantire investimenti e stabilità, non serve per forza l’ex banchiere. Servono idee chiare. Primo: uscire “dalla logica dell’emergenza”. Secondo: basta con la “bonus economy”, che ha sostenuto il Paese nei momenti complicati ma che “non può essere la visione per il futuro”. Terzo: instradare il Pnrr nei giusti binari perché “ora ci muoviamo senza logica complessiva”.

“Io credo occorra sviluppare quello che chiamo ‘localismo strategico’ - conclude Buffo - cioè l’integrazione tra la globalizzazione e i fattori locali, valorizzando le risorse e le capacità delle comunità locali”. Meno Stato, più enti locali e Europa. Basterà?

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