Guerra, un addio d'oro ma Romiti resta al top

La liquidazione (45 milioni) dell'ex ad di Luxottica nettamente inferiore ai 66 presi a suo tempo dal braccio destro di Agnelli

Per Andrea Guerra un addio in pace, e ci tiene a farlo sapere: «Con Leonardo Del Vecchio ci siamo sempre capiti», scrive l'ex amministratore delegato ai dipendenti di Luxottica (ieri in Borsa -0,8%), di cui ha retto il timone per dieci anni. Nessun rancore tra lui e il patron del colosso di Agordo, dunque: come prova la maxi liquidazione (45 milioni) che fa balzare Guerra direttamente al secondo posto della speciale classifica «buonuscite d'oro» dei manager italiani. In termini assoluti, il primo posto infatti resta, dal 1998, appannaggio di Cesare Romiti: i 105 miliardi di lire (66 milioni di euro) che incassò lasciando, da presidente, la Fiat che aveva guidato per 24 anni sono un record finora imbattuto.

In tempi più recenti, sono stati soprattutto i banchieri ad aggiudicarsi le buonuscite più cospicue: nella «hit parade» spicca Alessandro Profumo, attuale presidente di Mps, che ha lasciato il timone di Unicredit nel 2010 con un assegno di 40 milioni (ma ne ha devoluti due in beneficenza). Mentre pochi anni prima, nel 2007, l'addio a Capitalia dell'allora giovane ad, Matteo Arpe, ha avuto come contropartita oltre 30 milioni, tra liquidazione e stock option . Per ritrovare un manager dell'industria - è anche questo un segno dei tempi - dobbiamo risalire al 2001: ovvero all'attuale (ancora per qualche mese) presidente di Alitalia, Roberto Colaninno, allora alla guida di Olivetti-Telecom, da cui si congedò con un assegno di 25,8 milioni. Del resto, il suo non è stato l'unico «addio dorato» nel gruppo di tlc: la tradizione è proseguita anche quando la società è passata sotto il controllo del gruppo Pirelli. Nel 2007 Telecom ha accordato infatti buonuscite importanti a due manager di primo piano, Riccardo Ruggiero (17,2 milioni) e Carlo Buora (12 milioni).

Le superliquidazioni, comunque, non sono un'esclusiva italiana. A cominciare dagli Stati Uniti, dove i frequenti cambi al vertice si traducono in un tourbillon di biglietti verdi. Non sempre in rapporto con l'andamento dell'azienda: Carly Fiorina, discussa ceo di Hewlett Packard, ha intascato al momento di andarsene 21,4 milioni di dollari e vari benefit (compreso il pc aziendale), e poco meno - 17,5 milioni - è andato al successore di Bill Gates al timone di Microsoft, Steve Ballmer, dopo 12 anni di successi ma anche di brucianti flop, come Windows Vista. Ma non c'è solo la Silicon Valley: Rick Wagoner, il manager simbolo della crisi di Detroit, costretto da Obama a lasciare il timone di General Motors in bancarotta, ha comunque incassato una liquidazione di 20 milioni di dollari.

Mentre dall'altra parte dell'Oceano, 50 milioni di euro hanno accompagnato le dimissioni del ceo di Porsche, Wendelin Wiedeking, ritiratosi nel 2009 dopo aver tentato invano la scalata a Volkswagen, che invece ha inghiottito la rivale. Briciole, comunque, in confronto ai 300 milioni di dollari che hanno premiato - qui sì - il meritato congedo di Alan Mulally, il ceo che ha salvato Ford.

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