La guerra mette in crisi anche il latte

A pesare non solo la crisi energetica, ma l’aumento del prezzo del mais a uso zootecnico, del frumento, dei semi di soia e del concime usato nelle foraggiere

La guerra mette in crisi anche il latte

La guerra in Ucraina mette in crisi le aziende del latte. Cresce il numero di allevatori anche in Italia che non riesce più a superare i costi di una crisi ampliata dal conflitto in corso. A pesare sono soprattutto i rincari dovuti all’energia, al gasolio e alla mancanza di granturco per sfamare gli animali, come rivela un’inchiesta pubblicata sul quotidiano “il Messaggero”.

I costi sono talmente aumentati che ogni giorno ci sono realtà del nostro paese che non riescono a sostenere le spese e quindi sono costrette a chiudere i battenti. A segnalarlo è l’indicatore Milk dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo. Produrre oggi un litro di latte costa tra i 50 e i 55 centesimi. Ciò vuol dire che al produttore, in media, restano circa 4 centesimi su ogni litro di latte, guadagni che certamente sconfortano sia le grandi che le piccole imprese. Basti pensare che venti anni fa agli agricoltori restavano addirittura 12 centesimi al litro.

Secondo la ricerca, compiuta da centro studi Clal-Teseo, la principale causa dei mancati guadagni sarebbe l’aumento del prezzo dell’energia, come nel caso di quella elettrica (+212,20%) e del gasolio agricolo (+72,60%). A questi, poi, si è aggiunta la mancanza di cereali a causa del conflitto in Ucraina. Il mais a uso zootecnico, infatti, ha segnato un +55,2%, mentre il frumento tenero un +67,17%. Addirittura i semi di soia hanno registrato un +3,64%. La crisi non ha risparmiato neanche l’urea granulare, ovvero il concime usato nelle foraggiere (+167%).

Nonostante ciò, le aziende italiane non mollano e qualcuna è disposta pure a sacrificarsi in modo da non far cessare l’attività di chi oggi possiede gli animali. Granarolo, ad esempio, ha deciso di riconoscere agli allevatori un prezzo minimo di 48 centesimi. Si tratta di un aumento rispetto ai 42 centesimi concordati a novembre col ministero dell’Agricoltura. Tale strada potrebbe essere perseguita anche da altre importanti realtà del comparto.

Non sono da escludere, però, possibili aumenti per i consumatori. Grandi difficoltà, ad esempio, stanno vivendo i produttori di formaggio, che si devono trovare a combattere contro i costi dell’energia, alti nei processi di trasformazione del latte. Soprattutto i piccoli hanno non poche difficoltà a reggere il confronto con la grande distribuzione.

Ecco perché Massimo Giansanti, presidente

nazionale di Confagricoltura, sulle colonne del Messaggero, chiede un intervento rapido dell’esecutivo Draghi rispetto a un comparto che vale oltre 16 miliardi di euro e occupa più di 100mila lavoratori.

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