La storia della grande imprenditoria italiana compresa l'infruttuosa parentesi indiana ha una ferita apertissima perché negli anni sono andati male i tentativi di curarla e guarirla. Mi riferisco alla vicenda dell'ex Ilva di Taranto oggi Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria. Il che la dice lunga sul problema. Ma piangere sul latte versato non serve. Negli anni gli errori e gli orrori si sono succeduti con disarmante puntualità. Soprattutto con gravi responsabilità della politica condizionata da troppe incertezze e decisioni connotate per lo più da una visione demagogica. E così l'impresa e la comunità ne hanno pagato un costo salatissimo. Ora è il momento di imprimere una svolta definitiva se si vuole dare una nuova possibilità all'ex Ilva come ha detto il commissario Giancarlo Quaranta insieme al ministro delle Imprese Adolfo Urso. Che si tratti di una corsa contro il tempo è fuori discussione. L'obiettivo è attivare prima della pausa estiva le procedure per l'assegnazione degli impianti e a seguire il graduale ripristino produttivo riattivando gli altiforni. Per fare questo sarà necessario il prestito ponte di 320 milioni. Poi occorrerà trovare investitori davvero interessati al destino dell'acciaieria. Il ministro ha annunciato che ci sono e in effetti in questi giorni tre potenziali acquirenti stranieri (Vulcan Green Steel, Steel Mont e Metinvest) stanno facendo i relativi sopralluoghi. L'ex Ilva oggi è un colosso sfinito. Una realtà dove le criticità non si contano ma che conserva notevoli potenzialità. Una cosa è certa: necessiteranno notevoli investimenti.
Ho letto di un piano che prevede l'iniezione di circa 4,5 miliardi per i prossimi 8 anni, quattrini necessari per il ritorno della produzione a regime e per la decarbonizzazione degli impianti. E un'altra cosa è certa: la grave ferita potrà rimarginarsi solo con l'intervento del privato. Libero, una volta per tutte, di poter fare vera impresa.www.pompeolocatelli.it
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