Quella che seppure non concordata non voleva essere un'operazione ostile, rischia di tramutarsi in una guerra a tutto campo che da Piazza Affari si trascina davanti a tribunali e autorità garanti, coinvolge soggetti terzi, si intreccia ad altre partite in corso a Palazzo Mezzanotte e in ultimo è discussa al Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica).
L'annuncio dell'offerta pubblica di scambio (Ops) di 1,7 titoli Intesa Sanpaolo per ogni titolo Ubi, arrivato poco prima della mezzanotte del 17 febbraio, aveva fatto alzare qualche sopracciglio per tempi e modalità, posto che in quella stessa giornata Victor Massiah, ad del gruppo Ubi, aveva presentato alla comunità finanziaria un piano industriale di crescita stand alone. Ma per la Ca' de Sass era prioritario evitare un nuovo flop dopo il caso Generali, battendo sui tempi eventuali indiscrezioni di stampa. E ormai gli interlocutori coinvolti erano troppi a iniziare da Unipol e Bper, chiamate ad acquistare asset di Ubi una volta chiusa l'operazione per superare i problemi di antitrust, fino alll'ex nemica Mediobanca coinvolta come advisor dell'Ops a coordinamento del team di consulenti (JP Morgan, Morgan Stanley, Ubs ed Equita).
Al di là quindi della inusuale tempistica il dossier, il maggiore in ambito bancario degli ultimi 15 anni, seppure con le dovute precauzioni avrebbe potuto essere archiviato come una operazione di mercato con analisi su sinergie, prospettive di sviluppo e report su eventuali vantaggi per gli azionisti di Ubi che si sono visti offrire in titoli un premio del 28%. D'altro canto, Bce e Bankitalia da tempo spingono i gruppi del credito verso nuove fusioni che ottimizzassero i livelli di rischio.
Non è stato cosi. In poche settimane l'Ops è diventata un caso nazionale, un tutti contro tutti. E non solo per l'opposizione dei soci storici di Ubi che riuniti in tre patti di sindacato sfiorano il 28% del capitale ma rischiano di vedersi polverizzare la presa sul gruppo in caso di successo dell'operazione. A scendere in campo a fianco di Ubi è stato lo studio Bonelli Erede lo stesso che nel 2016 insieme alla Ca' de Sass e contro Piazzetta Cuccia aveva aperto le porte di Rcs a Urbano Cairo. E a fornire una sponda alla banca lombarda è stata anche Unicredit, che ha partecipato all'istruttoria di fronte dell'Antitrust sostenendo che l'unione tra la prima e la quarta banca del Paese ostacolerebbe la concorrenza. E proprio l'Antitrust rappresenta oggi l'ostacolo maggiore all'operazione che, al contrario ha ricevuto i via libera di Bce e Bankitalia. A giudizio dell'autorità garante della concorrenza l'operazione allo stato non è suscettibile di autorizzazione in quanto la prevista cessione di filiali a Bper (fino a 500) non è in grado di superare il rischio di concentrazione. Intesa sta quindi lavorando per aumentare il numero delle filiali in vendita, verso quota 600-650, riducendo le quote di mercato del polo finanziario in via di costituzione al di sotto del 35% in tutte le province italiane. Un cda di Bper potrebbe tenersi già oggi o domani. I tempi stringono: domani le parti potranno presentare ulteriori memorie mentre il giovedì 18 si terrà l'audizione conclusiva della fase istruttoria ed entro luglio è attesa la decisione finale. Nel frattempo arriverà il parere di Ivass, atteso in tempi brevi e il via libera al prospetto di Consob sull'offerta (la cui efficiacia rimarrà condizionata dall'ok antitrust).
In una vicenda così intricata non poteva poi mancare un giallo: chi sono gli investitori dietro a Parvus AM? La società di
fondi rappresentata da Edoardo Mercadante, con sede a Londra, salita al 7,9% del capitale di Ubi, può essere decisiva per l'esito dell'Ops. E secondo indiscrezioni, si sarebbero accesi anche i fari di Consob e della Procura.
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