A due anni di distanza dalla pandemia la crisi energetica, la "bomba" dell'inflazione e la guerra russo-ucraina causeranno una nuova recessione per l'Italia? Nel 2022 gli scenari sono decisamente meno ottimistici rispetto a quelli dello scorso anno, quando il rimbalzo dopo la batosta dell'anno pandemico fu salutato come una vittoria e addirittura come, da certe parti e da frange del governo Draghi, dall'avvisaglia di un nuovo boom economico. La situazione era molto più complessa già allora e a maggior ragione lo è ora.
C'è il forte rischio di una recessione globale che, per almeno due trimestri, può portare in recessione tecnica anche il nostro Paese, e questo è indicato da un dato fondamentale: negli Stati Uniti i rendimenti dei titoli di Stato a breve termine stanno per raggiungere (e qualcuno prevede il sorpasso a breve) i tassi dei titoli a lungo termine. Vuol dire che nel breve periodo si prevedonoincertezza e volatilità. Il titolo a due anni paga l'1,98% di interesse, quasi quanto quello decennale (2,19%). La differenza tra i due titoli oscilla tra i 15 e i 20 punti base, mentre un anno fa oscillava tra 145 e 150 punti. Segno che i titoli a breve termine incorporano la stretta della Fed e le misure antirecessive. Si preannuncia dunque una fase di acuta tensione per l'economia americana in cui la bomba dell'inflazione e dei prezzi sta colpendo le prospettive di crescita. E, si sa, quando l'America starnutisce il mondo prende il raffreddore.
Occhi puntati sul Vecchio Continente, nota Il Sole 24 Ore: "qualunque sia l'impatto economico di questa guerra, a subirne le maggiori conseguenze sarà l'Europa", che si trova anche nella condizione di non poter sfruttare a suo vantaggio una politica monetaria anticiclica rispetto a quella americana, che gestisce l'inflazione drenando denaro al resto del mondo con l'aumento dei tassi di interesse. L'Europa si trova di fronte alla necessità di ovviare a un costo crescente delle materie prime per la sua base industriale e produttiva. Il dollaro si rafforzerà sull'euro per le scelte della Fed. Per le economie di trasformazione, come l'Italia, questo vuol dire un aumento del costo relativo delle materie prime, essendo l'euro meno forte del dollaro in questa fase in cui la Bce non segue la Fed sull'aumento dei tassi, problemi alla produzione industriale e alla gestione dei redditi da parte dei cittadini per l'inflazione, blocco della crescita del Pil. In quest'ottica "c'è anche una notizia più positiva: per portare l'economia davvero in recessione per l'intero 2022 (un conto sono uno o due trimestri, altro conto è l'intero anno) serve uno shock ben più severo di quello attuale. Stima per esempio JP Morgan che se anche il petrolio arrivasse a 150 dollari al barile (oggi sta poco sopra i 100) e ci restasse nell'intero trimestre, la crescita economica globale del 2022 calerebbe dalle previsioni pre-guerra di 4,1% a 0,9%". Per
Ad ora, però, il timore è che il trend declinista dell'economia globale porti Roma in recessione tecnica (due trimestri consecutivi di declino economico) già nella seconda metà dell'anno. E se pensiamo che il Pil nazionale ha subito una nuova batosta col Covid dopo che non aveva ancora riassorbito gli effetti della Grande Recessione possiamo capire che cosa questo voglia dire. Possiamo sopportare uno, massimo due trimestri in stagnazione o calo economico con la garanzia che questo si riveli una fattispecie temporanea. Non possiamo, invece, tollerare un ritorno di trend di tracollo economico in termini di produzione e crescita. Per Antonio Cesarano di Intermonte Sim, di cui è Chief Global Strategist, due trimestri in negativo o a crescita zero porterebbero la crescita annua del Pil all'1,8-2% per l'Italia, un trend più che dimezzato rispetto alle previsioni del 2021.
Mauro Bottarelli su Il Sussidiario ha inquadrato i termini della questione, un "combinato che appare infernale per i Paesi ad alto indebitamento dell’Eurozona" come l'Italia: "fine degli acquisti Bce anticipata al 30 giugno e con un secondo trimestre al minimo sindacale di controvalori, inflazione fuori controllo e appunto sanzioni alla Russia che stanno già ora aggravando pesantemente il costo energetico e agricolo-alimentare, come testimoniano già i prezzi e gli scaffali dei supermercati". Appaiono superate tutte le previsioni di stima di crescita economica fatte nei mesi scorsi e, per ora, gruppi di analisti (come Bloomberg), banche (da Credit Suisse a Jp Morgan), governi e istituzioni sovranazionali si mantengono guardinghi e non vogliono arrivare a conclusioni estreme.
Tutti, però, concordano su quale potrebbe essere lo shock decisivo che farebbe esplodere una nuova fase di recessione economica e inflazione elevata paragonabile a quella degli Anni Settanta: una guerra economica con la Russia culminante in uno shock nelle fonrniture energetiche. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e professore di economia all'Università di Bologna, in una intervista a Il Messaggero, sottolinea che nel caso di una completa chiusura dei rubinetti del gas russo "i prezzi esploderebbero visto che lo stop sarebbe da tutta l'Europa. Il gas supererebbe i 300 euro per megawattora e si aggiungerebbe il carburante: si rischia la benzina a 3 euro con il petrolio tra 200 e 300 dollari al barile. L'inflazione andrebbe ben oltre il 14%. Non possiamo farci così male. La scelta" di proseguire con le sanzioni fino all'estrema conseguenza "è politica, ma dobbiamo conoscerne il prezzo". Per l'Italia Credit Suisse sottolinea che un taglio delle forniture di gas russo all'Italia non controbilanciato sottrarrebbe il 3% del Pil nazionale alla crescita.
Parliamo di scenari da incubo che non sono più mere ipotesi accademiche ma categorie del possibile. E mostrano la criticità della situazione che, dal livello globale a quello nazionale, porta con sè i venti di una nuova recessione globale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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