L'inflazione Usa non frena i tassi Fed

Ma la Bce studia invece un rallentamento che spinge le Borse a fare un mini rally

L'inflazione Usa non frena i tassi Fed

Ai falchi della Bce sarà quasi venuto un colpo dopo aver letto un documento, preparato dallo staff di esperti dell'Eurotower, secondo cui il pivot dei tassi dovrebbe essere collocato al 2,25%, ben al di sotto quindi del 3% stimato dai mercati. A rivelare l'esistenza di un nuovo modello, chiamato Target-Consistent Terminal Rate (Tctr), è stata ieri la Reuters dopo aver raccolto le confidenze di quattro fonti al corrente di ciò che bolle in pentola. Il Tctr sarebbe stato presentato a Cipro la scorsa settimana, in occasione di un vertice cui hanno preso parte i membri dell'istituto guidato da Christine Lagarde. L'ala dura avrebbe subito storto il naso, imputando agli autori del modello due peccati capitali: non aver previsto a suo tempo, a causa di stime palesemente sballate e ottimistiche, la gravità dell'inflazione; il fatto di non tener conto del rischio che i prezzi si mantengono a lungo su livelli elevati, tali da giustificare irrigidimenti monetari più severi.

Il paper, con il suggerimento di alleggerire il bilancio per meglio sostenere l'obiettivo di prezzi al 2%, finirà probabilmente nel cestino, ma i mercati non se ne sono curati. Dopo una seduta per gran parte sotto la linea di galleggiamento, la Borsa di Milano ha chiuso in rialzo dell'1,56% e l'EuroStoxx 600 è salito dello 0,91%, con un effetto di trascinamento che ha coinvolto perfino Wall Street (+2% a un'ora dalla chiusura).

Una vera e propria inversione a U, malgrado l'inflazione sia salita negli Stati Uniti in settembre all'8,2% su base annua (+0,4% mensile), dando prova di una resistenza che dovrebbe essere indigesta a tutti: alle famiglie, costrette a tirare la cinghia per far quadrare i bilanci domestici; alle imprese, preoccupate per la tenuta dei loro conti; a Joe Biden, che con questi chiari di luna attende il voto di mid-term di novembre con lo stesso entusiasmo di chi ha un appuntamento col dentista.

Wall Street dovrebbe essere quella più in ambasce. Dopo l'ultimo aumento del carovita, i bookmaker non accettano più puntate su un altro rialzo dei tassi in novembre di tre quarti di punto, il quarto consecutivo, tanto viene ormai dato per scontato. Semmai, sono salite al 18% le possibilità di una stretta di 100 punti base, con proiezioni che il costo del denaro possa assestarsi oltre il 4,85%, dall'attuale 3-3,25%, prima di imboccare la discesa. Lo scoop della Reuters sembra invece aver rianimato le speranze che un atteggiamento più rilassato da parte della Bce renda Eccles Building più accomodante. Poco importa se l'arrampicata dei rendimenti dei T-bond trentennali fin quasi alla vetta del 4% mai più raggiunta dall'agosto 2011, stia raccontando un'altra storia. Quella di prezzi core (l'indice che esclude energia e alimentari), balzati al 6,6% e in ascesa ininterrotta da 26 mesi, e del costo degli affitti (peso nel paniere pari al 40%) lievitato in un anno di oltre il 7%. A dimostrazione di come l'inflazione sia ormai tracimata lungo tutta la filiera dei prezzi.

Gli unici a essere soddisfatti dovrebbero essere i 65 milioni di pensionati e disabili americani che si vedranno adeguare, a partire dal prossimo gennaio, il loro assegno mensile di 141 dollari. Non certo Wall Street.

Molti esperti imputano agli investitori di non aver contezza della situazione e di ignorare il

triplice allarme, inflazione-recessione-dollaro forte, che risuonerà in molte trimestrali. Così, piuttosto che baloccarsi con improbabili giravolte di Powell&C., il mercato farebbe meglio a tornare coi piedi per terra.

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