«This is the end, no safety the end». L'inflazione balla sulle note dei Doors e l'America scopre di aver imboccato la porta girevole sbagliata. Quel che rimaneva del sogno di un carovita ormai debellato si è polverizzato ieri sotto i colpi di prezzi al consumo aumentati negli Stati Uniti in marzo dello 0,4% mensile e del 3,5% su base annua, certificando che quattro rialzi consecutivi pongono sul binario morto sia quel processo deflazionistico che fino a novembre scorsi si era andato consolidando, sia la possibilità di un taglio dei tassi in giugno da parte della Federal Reserve.
Sui mercati le chance di un ammorbidimento monetario fra due mesi sono infatti crollate al 26%, mentre viene ora ritenuto più probabile che la prima sforbiciata venga decisa in settembre. Sparite dal tavolo le tre riduzioni finora previste, qualche residua speranza è rimasta per due ritocchi entro la fine dell'anno. Ma su questa scommessa gravano due fattori. Uno di natura tecnica, l'altro squisitamente politico. Il primo riguarda l'inflazione dei servizi (oltre il 3%), che rimane appiccicosa come una caramella mou nonostante la Fed si aspettasse nel corso dell'anno una sua ritirata. Il mancato arretramento, unito all'andamento complessivo dell'inflazione, dà così fiato alle voci all'interno di Eccles Building favorevoli a lasciar le bocce ferme per tutto il 2024. Anche perché, come sostengono alcuni analisti, una riduzione del costo del denaro in luglio potrebbe essere vista come una forzatura se nei prossimi mesi non vi saranno forti segnali (al momento non previsti, viste le quotazioni petrolifere e le tensioni geo-politiche) di un ridimensionamento dei prezzi. Da agosto in poi, inoltre, ogni spazio di manovra sembra essere precluso da una campagna per le presidenziali che sarà entrata nella sua fase più calda. Se Jerome Powell dovesse abbassare la leva dei tassi, Donald Trump avrebbe gioco facile per accusare il capo della banca centrale Usa di voler favorire Joe Biden, che proprio a causa del carovita surriscaldato rischia di uscire sconfitto dalle urne.
Questo sparigliare di carte negli Usa potrebbe non essere privo di conseguenze per l'eurozona. Oggi si riunisce la Bce, e dalle parole della presidente Christine Lagarde in conferenza stampa si capirà se i dati sui prezzi americani hanno incrinato le possibilità di un taglio dei tassi in giugno.
Malgrado l'inflazione si sia fermata al 2,4% in marzo, il livello più basso da luglio 2021, nulla è scontato.La Cina è intanto alle prese con altri guai: Fitch ha tagliato ieri il suo outlook sul rating sovrano da «stabile» a «negativo». Pechino ha replicato: decisione «deplorevole».
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