La "Nuova" Germania e il tabù debito

L'economista Nardozzi spiega le ricadute del post Merkel per la Ue

La "Nuova" Germania e il tabù debito

«Il decennio tedesco è finito»: il titolo di prima pagina della Neue Zürcher Zeitung di qualche giorno fa non lasciava spazio a sfumature. A spiegare l'atteggiamento del più importante quotidiano svizzero il via al percorso del nuovo governo di Berlino: un'inedita alleanza a tre tra socialdemocratici, verdi e liberali. Numero ed eterogeneità dei partner, secondo i commentatori elvetici, renderanno un lontano ricordo la stabilità che ha caratterizzato la Germania del dopoguerra: il Paese più potente della Ue si scoprirà debole, al centro dell'Europa si aprirà un vuoto.

È difficile fare previsioni, dice un vecchio detto, soprattutto per quanto riguarda il futuro. Per capire quanto il nuovo governo modificherà le tendenze di fondo della politica tedesca degli ultimi decenni, in particolare di quella economica, non resta che attendere. Tenendo conto, come fa Giangiacomo Nardozzi nel suo recente Una nuova Germania per l'Europa? (Brioschi editore), che «la crisi da Covid non offre sufficienti motivi per credere superato il vangelo tedesco, almeno nei suoi fondamenti costruiti sull'ossessione del debito pubblico e di una Unione di trasferimenti nonchè su una libertà della nazione perseguita attraverso ingenti surplus nei conti con il resto del mondo».

Nardozzi, economista e commentatore, uomo d'azienda e di banche, mostra con efficacia quanto le tendenze economiche di lungo periodo seguite dai governi di Berlino siano strettamente intrecciate con il profilo politico e culturale delle élite che le hanno attuate. Tra economia e «animo» del Paese c'è, insomma, un rapporto forse più complesso e tormentato che in altre nazioni. A cominciare dal fondamento «ordoliberale» del pensiero economico che ha dominato praticamente tutta la storia della Repubblica federale e che finisce per «ribaltare» le concezioni altrove prevalenti. Qui non si parte dalla concezione del tornaconto individuale che come Adam Smith insegna, trova nel mercato il luogo per trasformarsi in interesse collettivo. Al contrario si parte «dall'interesse economico della nazione di cui il mercato può essere strumento». Purchè, però, non si lasci libero sfogo all'individualismo egoistico, ma si vincolino i comportamenti dei soggetti economici a un ordine che è sì economico ma anche etico e sociale.

Così, di particolarità in particolarità, si arriva alla grande ipoteca che ha segnato l'economia tedesca e quella europea degli ultimi anni: un basso livello di investimenti con un eccesso di risparmio, pubblico e privato tali da produrre un attivo nei conti con l'estero pari all'8% del pil. Il tabù del debito pubblico non è mai stato messo in discussione. Fino a raggiungere, dice Nardozzi, «nello scorcio del 2018, al paradosso di un'economia giunta sull'orlo della recessione ma con il rapporto tra debito e Pil portato in riduzione ben al di sotto della fatidica soglia del 60%».

Oggi i leader dei partiti impegnati a Berlino nelle trattative per la formazione del governo parlano di un'occasione unica per voltare pagina, modernizzando il Paese. I programmi in discussione prevedono investimenti di rilievo. Ma, come si desume dal libro di Nardozzi, la svolta potrebbe essere più complicata di quanto appare.

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