Nel nostro Paese la patrimoniale è un'ossessione. Torna e prova ad affermarsi con una puntualità che impressiona, visto e considerato che la puntualità è un valore che, di norma, non rientra tra le virtù italiche. Specie quando si tratta di cosa pubblica. Mancano i denari (perché sprecati o utilizzati in malo modo) per rispondere ad un'esigenza (poi si tratta di vedere se lo scopo è appropriato ma quello è un altro discorso)? Si ricorra ad una bella tassazione per colpire i patrimoni dei ceti più abbienti, quelli che la vulgata ideologica etichetta con un certo sprezzo i ricchi o, addirittura, i super ricchi.
Così facendo la politica appiattita su visioni di impronta statalista ritiene di svolgere una funzione virtuosa. Lo Stato sperpera? Poco importa: si colpisca il cittadino/contribuente oltre il dovuto. E in modo particolare la categoria dei ricchi. Il morbo novecentesco di matrice sinistrorsa massimalista magari perde il pelo, non certo il vizio. In nome di una presunta giustizia sociale. Le cose stanno diversamente. Il problema di fondo è che l'Italia fatica ad avviare un percorso riformatore in materia di fisco. Manca uno sguardo virtuoso e realistico. Non si vuole mettere mano e in modo coraggioso a una macchina che picchia in testa da tempo immemore.
La flat tax, così avversata dai campioni della patrimoniale è, come noto, un sistema fiscale non progressivo basato su un'aliquota fissa. Una formula equa, moderna, che favorisce un rapporto normale tra il cittadino e l'istituzione pubblica. Una tassazione finalmente ragionevole e non vessatoria verrebbe a garantire un gettito scevro dal tarlo dell'evasione. Sgombrerebbe alla radice l'alibi ad evadere gli obblighi.
E, scoperto chi evade, dopo gli opportuni e rigorosi controlli, sarebbe efficace intervenire nei suoi confronti in sede civile. La lezione è semplice: solo la cultura liberale ha nel suo dna il concetto di flat tax. Per il liberale la libertà del cittadino è un patrimonio. Altro che patrimoniale!
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