Più riforme e via i lacci per far ripartire il Paese

di Francesco ForteL'occupazione, in Italia è in ripresa: l'1,1% in più nel terzo trimestre 2015 rispetto a un anno prima. Il lieve peggioramento di ottobre non cambia il trend positivo, che si riflette in misura maggiore sul calo della disoccupazione (-1,4%). Ciò perché la forza lavoro, che in percentuale sulla popolazione è praticamente stazionaria, diminuisce in cifre assolute. La popolazione invecchia e si riduce la quota di quella nella grande fascia fra i 15 e i 65 anni.Il prodotto interno lordo, però, quest'anno non aumenta dello 1,1% ma fra lo 0,7 e lo 0,9. Da ciò si desume che la produttività del lavoro non solo non è aumentata, come sarebbe necessario, perché l'Italia sia più competitiva, ma è diminuita. In sostanza, emerge che ha generato effetti molto modesti la riforma del mercato del lavoro del governo Renzi, basata sui contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, incentivati con una cospicua riduzione transitoria dei contributi sociali, che ha aggravato il deficit di bilancio. Del resto non si può dormire sugli allori per il calo della disoccupazione, perché è ancora l'11,7% mentre nella migliore epoca berlusconiana era il 6,5%.La politica monetaria espansiva della Bce ha svalutato l'euro rispetto al dollaro, dando uno stimolo al commercio estero e quindi all'occupazione delle imprese soggette a competizione internazionale. Inoltre il ribasso del petrolio, che pochi anni fa costava più di 100 dollari il barile e ora nel costa 35-40, ha aumentato il potere di acquisto dei consumatori e la loro domanda, generando occupazione nei settori ad essa collegati. La causa del miglioramento occupazionale sta in questi fattori. Sul lato positivo della riforma Renzi, c'è il miglioramento dell'utilizzo dei contratti a termine e la riduzione degli ostacoli ai licenziamenti per ragioni economiche nei contratti a tempo determinato. Il posto permanente e semi-permanente è buona cosa, sia per il lavoratore che acquista sicurezza e si perfeziona, sia per il datore di lavoro che ha interesse a migliorare le sua forza lavoro e ha bisogno d'una struttura stabile ed omogenea. Ma mentre il tasso di occupazione in Italia è aumentato dello 0,8%, per i giovani fra i 16 e i 34 anni e c'è un aumento dello 1,1%; per la classe fra i 35 e i 44 anni c'è una riduzione dello 0,8%, mentre il tasso di occupazione aumenta del 3,8% per la classe fra i 44 e i 65 anni perché è aumentata l'età pensionabile. C'è una generazione intermedia a rischio, che fa fatica a trovare un nuovo posto di lavoro, quando lo ha perso e i giovani disoccupati sono ancora moltissimi. La riforma del lavoro e quella fiscale necessarie per dare un lavoro a tutti quelli che hanno buona volontà, restano da fare. Occorre maggiore flessibilità dei contratti, perché la loro standardizzazione che piace ai burocrati delle organizzazioni nazionali dei lavoratori e datori di lavoro non offre la flessibilità che serve. Il contratto nazionale settoriale è anacronistico. C'è bisogno di autonomia contrattuale a livello locale e aziendale. Inoltre occorrono flessibilità nei contratti, per gli orari di lavoro e le mansioni e le retribuzioni calibrate alla produttività.

Le aliquote fiscali progressive ostacolano la produttività. Ci vorrebbe una flat tax, con aliquota massima del 25% comprese le addizionali locali, per evitare che si spostino all'estero i centri direzionali, i servizi amministrativi, quelli di ricerca, il lavoro pregiato.

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