«È forte, determinato e smart». Con la sintesi dell'uomo che maneggia la comunicazione con la stessa disinvoltura di quando si cambia la cravatta, Donald Trump ha così annunciato ieri la nomina di Jerome Powell alla presidenza della Federal Reserve. Rispetto alle ruvidezze del periodo in cui conduceva «The apprentice» (celeberrimo il suo «You're fired!», sei licenziato!, urlato al malcapitato di turno), Trump ha riservato a Janet Yellen una carezza: «Ha fatto un ottimo lavoro, una grande persona». La sostanza, però, non cambia. Rompendo una tradizione che durava da ben 40 anni, il nuovo inquilino della Casa Bianca non ha concesso un secondo mandato al leader della banca centrale Usa nominato da un suo predecessore di diverso partito. Prova che hanno lasciato il segno sia le ruggini della campagna elettorale, quando il tycoon accusò la Yellen di aver tenuto artificiosamente bassi i tassi per favorire Hillary Clinton, sia la netta opposizione manifestata dal successore di Ben Bernanke alla rottamazione delle norme contro le scorrerie a Wall Street.
«Farò tutto il possibile per onorare gli obiettivi della Federal Reserve: piena occupazione e stabilità dei prezzi», le prime parole pronunciate da quello che dal prossimo febbraio sarà il numero uno della banca centrale Usa, nonchè il più ricco (il suo patrimonio è stimato tra i 21 e i 61 milioni di dollari) nella storia di Eccles Building dal 1948. Sotto il profilo della conduzione della politica monetaria Powell, privo di una formazione economica ma ben conosciuto a Wall Street (ieri in moderata rialzo) per aver lavorato come partner di Carlyle dal 1997 al 2005, non si discosterà dal solco tracciato dalla Yellen. Prudenza, quindi, nell'agire sulle leve dei tassi e prosecuzione dell'opera di snellimento del bilancio da 4.500 miliardi di dollari della banca centrale. È però sul fronte della deregulation finanziaria che arriveranno le maggiori novità. Powell potrebbe irrigidire le soglie di capitali e gli altri requisiti prudenziali delle grandi banche, così da proteggere la stabilità finanziaria, ma imporre meno vincoli agli istituti più piccoli. Non è inoltre escluso un ammorbidimento degli stress test. «Il sistema è più forte e più resiliente di prima della crisi. Le banche hanno molti più capitali e liquidità, sono più consapevoli dei rischi e sono migliori nel gestirli», si è per ora limitato a dire Powell.
Ora Trump deve aspettare che il Senato dia l'ok alla nomina. Ostacoli non ce ne saranno. Ben più in salita è invece la strada della riforma fiscale, presentata ieri alla Camera dai repubblicani. I democratici sono subito insorti: «Depreda il ceto medio», l'accusa. Rispetto alle indiscrezioni delle scorse settimane, ci sono alcune novità.
In particolare, è previsto un taglio permanente dell'aliquota per le aziende al 20% dal 35%; una riduzione delle aliquote per le persone da sette a quattro; inoltre, quella massima resta al 39,6% ma viene associata a un livello di reddito molto più alto, pari a un milione di dollari per una coppia sposata; la più bassa sale di due punti percentuali al 12%; gli sgravi per chi ha figli salgono da 1.000 a 1.600 dollari. Trump è convinto di infiocchettare la riforma e di metterla sotto l'albero di Natale degli americani. Ci riuscirà?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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