L'attacco russo all'Ucraina sta facendo sentire pesantemente i suoi effetti anche sulle materie prime: il Brent ha toccato i 102,22 dollari al barile, picco dal 2014, dopo un massimo a 102,48 mentre il Wti scambia a 97,04 dollari al barile (+5,3%). Netto balzo anche del prezzo del gas che ha raggiunto 87,45 euro al Mwh (+9%). In queste drammatiche ore segnate dalla guerra tra Russia ed Ucraina vi è anche preoccupazione per i prezzi del grano, balzati del 5,7% in un solo giorno raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9,34 dollari a bushel.
Dati allarmanti, questi, che si inseriscono in un contesto geopolitico internazionale di estrema tensione e che complicano ancor di più il quadro. Non va dimenticato, infatti, che per quanto riguarda il grano i prezzi sono sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle "rivolte del pane" che hanno coinvolto diversi Paesi soprattutto del Nord Africa, tra cui Tunisia, Algeria ed Egitto.
La difficile realtà che stiamo vivendo in questi giorni è emersa dall'analisi alla chiusura del mercato future della borsa merci di Chicago che rappresenta il punto di riferimento mondiale delle materie prime agricole. Il rischio reale è che possano verificarsi speculazioni e carestie, eventi che nel passato hanno provocato tensioni sociali, politiche e flussi migratori anche verso l'Italia.
Una situazione da non sottovalutare anche per Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell'agricoltura italiana, che ha spiegato che l’aumento delle quotazioni delle materie prime ha interessato anche i prodotti base per l'alimentazione degli animali negli allevamenti come la soia che ha raggiunto il massimo dal 2012 e mais che è al massimo da otto mesi.
"L'Ucraina - continua la Coldiretti - ha un ruolo importante anche sul fronte agricolo con la produzione di circa 36 milioni di tonnellate di mais per l'alimentazione animale (5° posto nel mondo) e 25 milioni di tonnellate di grano tenero per la produzione del pane (7° posto al mondo) mentre la Russia è il principale Paese esportatore di grano a livello mondiale". Il timore dei mercati è legato al fatto che la guerra tra i due Paesi possa frenare le spedizioni dalla Russia e contestualemnte bloccare le spedizioni ucraine dai porti del Mar Nero. Ciò provocherebbe una sorta di effetto a catena, con un crollo delle disponibilità sui mercati mondiali ed il rischio di inflazioni su beni di consumo primario e carestie che alimenterebbero le tensioni sociali.
Una emergenza mondiale che, ovviamente, finirebbe con il travolgere anche l'Italia. Il nostro, spiega la Coldiretti, è "un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l'alimentazione del bestiame". L'analisi della Coldiretti evidenzia anche come l'Ucraina sia "il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 20% ma garantisce anche il 5% dell'import nazionale di grano".
"L'Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti - evidenzia ancora l'associazione - a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti".
Non va dimenticato un altro dato importante che, sottolinea l'associazione, racconta le difficoltà del momento. Quest'anno in Italia sono quasi raddoppiati i costi delle semine per la produzione di grano. I rincari sono conseguenza dell’aumento di oltre il 50% del prezzo del gasolio. Non solo. perché sono cresciuti sensibilmente anche i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti.
"Nonostante questo il grano duro italiano - spiega la Coldiretti - è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall'estero da Paesi come il Canada dove è coltivato peraltro con l'uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, vietato in Italia. Per fermare le speculazioni a livello internazionale e garantire la disponibilità del grano occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali".
Per l’associazione in Italia ci sono le condizioni per incrementare la produzione. Nel nostro Paese, precisa ancora la Coldiretti, secondo numeri diffusi dall'Istat si stimano "500.
596 ettari seminati a grano tenero per il pane, con un incremento dello 0,5% mentre la superficie del grano duro risulta in leggera flessione dell'1,4% per un totale di 1.211.304 ettari anche se su questa prima analisi pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che potrebbero portare a rivedere il dato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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