Unicredit non teme Putin e conferma i dividendi. In Borsa è rally (+11,6%)

La crisi russa non peserà sulla remunerazione se l'indice patrimoniale Cet1 resta sopra il 13%

Unicredit non teme Putin e conferma i dividendi. In Borsa è rally (+11,6%)

Unicredit rimbalza e chiude la seduta a 10,07 euro (in rialzo dell'11,6%) dopo la conferma dei piani di retribuzione degli azionisti: 1,2 miliardi di dividendi sul 2021 e un piano di riacquisto di azioni proprie per 2,58 miliardi purché l'indice di patrimonializzazione Cet1 si mantenga al di sopra del 13% (dall'attuale 15,03%). Ma, nonostante le rassicurazioni non mancano i punti interrogativi: la guerra in Ucraina rischia di produrre ulteriori conseguenze per la banca guidata da Andrea Orcel, oltre a rinviare a data da destinarsi lo shopping che, dopo il tramonto in autunno dell'operazione su Mps, aveva portato recentemente il gruppo a mettere nel mirino Banco Bpm.

«L'impatto indiretto della crisi russa (crescita inferiore al previsto, più elevato rischio di livello di default, ecc.) potrebbe essere significativo per l'intero settore bancario e mettere in gioco il percorso di investimento su Unicredit fondato su una strategia di distribuzione generosa del capitale agli azionisti. Una strategia che oggi appare a rischio», commentano da Intesa Sanpaolo. «Nello scenario estremo, in cui la totalità della nostra massima esposizione non possa essere recuperata e venga azzerata, l'impatto sul Cet1 di Unicredit a fine 2021 sarebbe di circa 200 punti base», avverte la banca secondo cui tuttavia «la solida posizione di capitale ci consentirebbe di assorbire questo impatto senza scendere al di sotto del 13 per cento di Cet1».

L'interrogativo maggiore, almeno nel breve termine, riguarda la colossale operazione di buyback che da sola assorbe 90 punti base del capitale e sarebbe attuabile, a giudizio di Equita, anche con perdite sull'esposizione russa di quattro miliardi (su un massimo stimato a sei miliardi). Quanto al futuro, a giudizio di Ubs, non può essere scartata a priori l'ipotesi di una uscita da Mosca con perdite che aumentano e una ricapitalizzazione che, dato lo scenario, risulta non fattibile.

In Russia, come ricorda un comunicato da Piazza Gae Aulenti, «Unicredit è presente dal 2005 (con Ao Unicredit Bank, ex International Moscow Bank; ndr) e, in passato, ha già saputo adattarsi e operare nel pieno rispetto di contesti sanzionatori». Ed è déja vu. A partire dal 2014, con la prima crisi russo-ucraina, Unicredit ha dovuto fare i conti con quella espansione ad Est, voluta da Alessandro Profumo prima e da Federico Ghizzoni poi. All'epoca al centro dei piani di sviluppo del gruppo erano stati posti i Paesi dell'Europa Centro-Orientale, ritenuti come caratterizzati da elevate opportunità e da un basso profilo di rischio. Il primo passo in questa direzione era stato effettuato nel 1999 con la polacca Bank Pekao seguita dall'espansione in Romania, Ungheria, Russia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Repubblica Ceca, fino a Turchia, Ucraina e Kazakistan.

Con l'arrivo di Jean Pierre Mustier sono poi iniziate le vendite, comprese quelle di Bank Pekao e Yapi Kredi. Ma la presenza a Mosca è mai stata messa in discussione. Anzi. A inizio anno si parlava di un raddoppio con la possibile acquisizione, poi svanita con l'acuirsi della crisi, di Otkritie Bank.

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