Usa, balzo dell'occupazione. Ma si complicano i piani Fed

A ottobre creati 531mila posti, entro giugno recuperati i livelli pre-Covid. Ora il rialzo di tassi pare più vicino

Usa, balzo dell'occupazione. Ma si  complicano i piani Fed

Negli Stati Uniti è da sempre lo stato di salute dell'economia, e non le guerre, a determinare il destino di un presidente. Joe Biden lo sa bene. E così, dopo i sonori ceffoni rimediati martedì scorso in New Jersey e Virginia con la nomina di due governatori a matrice repubblicana, dalla bocca dell'inquilino della Casa Bianca è uscito ieri un cinguettio di soddisfazione non appena il dipartimento al Lavoro ha annunciato la creazione in ottobre di 531mila nuovi posti, lo score più alto da tre mesi a questa parte, nonostante la forte revisione al rialzo dei dati di agosto (+483mila) e di settembre (312mila). «Questo è un miglioramento significativo da quando ho assunto il mio incarico e un segnale che siamo sulla strada giusta», ha twittato Biden senza scivolare nella roboante retorica trumpiana.

Il diavolo, come sempre, sta però nei dettagli. Anche se qui si tratta più che altro di aritmetica elementare. Questa: se nei prossimi otto mesi sarà mantenuto lo stesso passo di carica nelle assunzioni visto il mese scorso, l'occupazione sarà tornata ai livelli record pre-Covid entro giugno. Seppur la disoccupazione sia scesa al 4,6%, all'appello mancano ancora 4,2 milioni di posti distrutti dalla pandemia. Ciò pone un interrogativo, peraltro retorico: cosa farà a quel punto la Fed di Jerome Powell, che mercoledì scorso ha legato a doppio filo il rialzo dei tassi a una situazione di (quasi) piena occupazione? La possibile risposta: un giro di vite al costo del denaro squadernato già in luglio, proprio a ridosso dell'azzeramento del piano di acquisti da 120 miliardi di dollari al mese. Dal tapering al tightening il passo può essere breve, pur essendo una mossa in controtendenza rispetto ai programmi di Eccles Building, convinta di non dover muovere fino al 2023 le leve monetarie per evitare contraccolpi alla ripresa.

Proprio il mercato del lavoro è del resto un focolaio di inflazione, come dimostrano gli aumenti medi del 4,9% delle buste paga nell'ultimo anno. Un fenomeno generato soprattutto dalla penuria di manodopera nelle fabbriche, nei ristoranti, nei magazzini e negli asili nido. Probabilmente, ciò che ha in parte determinato l'ottimo risultato del mese scorso, ovvero la fine dei sussidi erogati a oltre sette milioni di americani, contribuirà a temperare future richieste salariali. Ma non è detto. Se non saranno rientrate le tensioni sui prezzi indotte dai colli di bottiglia negli approvvigionamenti e neppure le pretese di stipendi più pesanti, la Fed potrebbe trarne le conseguenze.

L'unico dubbio su un eventuale restringimento delle maglie monetarie non è di natura economica, bensì politica: il riconfermato Powell (o chi lo avrà eventualmente sostituito a partire da dicembre) avrà il coraggio di varare un rialzo dei tassi che rischierebbe di ritorcersi contro Biden in novembre, quando si terranno le elezioni di metà mandato? A questa domanda, al momento, non c'è risposta.

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