Effetto Sarkò, la sinistra va in crisi Parola di Bertinotti: va rifondata

L'effetto Sarkozy arriva anche in Italia, la sconfitta della "gauche" spacca l'Unione. Anche Rutelli lancia l'allarme e ammette: "Siamo in ritardo di vent'anni". La Cdl guarda a Parigi e Casini ne approfitta. In Francia resa dei conti fra i socialisti

Effetto Sarkò, la sinistra va in crisi 
Parola di Bertinotti: va rifondata

Ramallah - Folgorato dalla vitalità del nostro esercito in Libano. Folgorato dalla «forza propria» e prorompente di Sarkozy, dal «suo messaggio spiazzante, l’idea identitaria calata nel Paese reale, l’autosufficienza di un’operazione che riesce a incorporare, stroncandolo, il populismo di Le Pen...». Non si può dire che Fausto Bertinotti non sia in cammino da tempo, e almeno da gennaio aveva ben inquadrato che cosa stesse covando la Francia profonda. Lo «spiazzamento» che una destra moderna - e priva di complessi nei confronti della modernità globalizzata - provoca alla sinistra. Lo aveva preconizzato nel viaggio sudamericano, gli è facile ribadirlo durante la sua visita a Ramallah, tappa fondamentale del suo viaggio in Medio Oriente.
Bertinotti è in movimento, e sarebbe il caso di chiedersi dove vada. Il commento sulla sconfitta della mai amata Ségolène Royal («la sinistra in Europa si deve rifondare») è troppo facile e scontato per far capire. Certo Bertinotti non parteciperà ai cantieri della sinistra da semplice muratore, e nemmeno da ingegnere, pare di capire. Architetto di grido, piuttosto. E la poltrona di presidente della Camera sembra fatta apposta, visto che gli consente a piccoli passi di riposizionare la sinistra italiana nelle sue mai risolte contraddizioni, per esempio nei rapporti con il Medio Oriente. Da interlocutore tanto dei palestinesi di Al Fatah (incontrati ieri a Ramallah e Betlemme), quanto degli israeliani (oggi incontrerà Tzipi Livni). Una veste da «uomo saggio» che vorrebbe festeggiare con la pace «la caduta del Muro» che opprime i Territori, che chiede «lo sblocco dei flussi finanziari per la Palestina» e testardamente ripete «che bisogna trattare con tutti, e le parti devono riconoscersi senza ambiguità: l’esistenza in vita di Israele, da un lato, la legittimità politica di un governo con dentro Hamas, se democraticamente eletto, dall’altro».
Un profilo alto, quello che Bertinotti si va ritagliando, agli antipodi del suo passato di «uomo fazioso». È da questo scranno che illustra a grandi linee il suo progetto per la futura sinistra. Partendo dall’epitaffio a quella francese di Ségolène che, nonostante «l’innovazione nell’immagine, nel metodo, nei contenuti» comunque resta «debole, in crisi, non sufficiente». Non si può più eludere, come finora è stato fatto, il nodo epocale di questa geografia politica europea. Nella quale «la sinistra è in crisi profonda, e non ne esce con alleanze un po’ più al centro o un po’ più a sinistra...». Schemi vecchi, «da storia del Novecento», mentre è già saltato persino il «discrimine classico tra destra e sinistra», come Sarkozy (e magari l’argentino Kirchner, ma non lo dice) dimostrano. Una crisi che investe «i fondamentali, non i complementari, cioè i contenitori e le alleanze», incalza Bertinotti. Non basta neppure «avanzare proposte su questioni sociali, che non dominano la scena, non basta la vecchia ricetta di un partito del lavoro, e neppure correre dietro alle opinioni comuni del momento». Si tratta, aggiunge, di una «mimetizzazione che non porta a niente», come la sconfitta di Ségolène ha dimostrato in Francia, come le chimere del Partito democratico dimostreranno in Italia. Come una sinistra di alternativa «che resti frammentata e marginale, abbarbicata alle proprie bandiere» ha dimostrato ancora una volta nelle elezioni francesi.
Che cosa propone, l’architetto Bertinotti? Uno slogan a portata di mano, ma già sentito: «Una soggettività unitaria e plurale, che metta in grado la sinistra di alternativa di condizionare la sinistra riformista, in un corpo a corpo fatto di conflitto e convergenza». Diciamo, a voler essere buoni, ciò che in Italia prova a fare l’Unione (sui risultati si sorvoli). Quando però si va ai «fondamentali», ovvero a un voto francese «desocializzato», d’opinione, che dimostra il ritardo della sinistra nel rapporto con il capitalismo nelle sue forme attuali, Bertinotti si rifugia nel vasto campo dell’indagine. Il «socialismo dei cittadini» di Zapatero no, «lo voglio vedere alla prova». La «socialdemocrazia classica» neppure regge più.

E allora? «Aiuta di più una reinterpretazione della nozione gramsciana di egemonia, ovvero l’influenza di una classe sulla società», dice Bertinotti. Gramsci: tema da convegno, forse. Meno adatto alla stringente ricerca di un modello alternativo al capitalismo dominante che, accusa Bertinotti, «contiene elementi catastrofici e produce contraddizioni drammatiche».

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