da Washington
Migliaia e migliaia di parole. Tenendo conto anche dei blog, letteralmente milioni. E mucchi di cifre. In questo momento però basterebbero due immagini: due foto scattate un po a caso. Due volti, quelli che ancora sono i favoriti nella corsa alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Rudy Giuliani. Il secondo è stato colto mentre si fa truccare per la tv e sembra chiedersi pensoso «Cosa ho fatto per perdere tanti voti?». Il volto di Hillary è invece invaso da rughe fino a ieri insospettate, mai viste in tvo o su un podio.
Giuliani preoccupato, la Clinton stremata. E le cifre confermano: dicono che fra i due Rudy è quello messo peggio. Hillary perde delle penne ma riesce finora a mantenere una faticata prima posizione. Nei due test imminenti difende una sostanziale parità nellIowa con Barack Obama, è ripassata addirittura in testa nel New Hampshire, senza liberarsi della minaccia del giovane senatore di pelle nera ma riacquistando un margine di vantaggio. Obama, adesso, alza la testa anche in California.
Ma il principale motivo della stanchezza che improvvisamente mostra la più combattiva fra le donne deve essere un altro: la percezione della propria diffusa antipatia. Fra tutti i sondaggi pieni di virgole centesimali ne emerge uno fatto di cifre piene e grossolane: Hillary è la meno amata tra le persone che aspirano alla Casa Bianca. È rispettata per la sua competenza, dà fiducia per la sua esperienza, ha (sempre assieme a Rudy Giuliani), il più noto, famoso nome del mondo politico americano dopo George Bush che si avvia al commiato: ma nonostante questo, forse anche per questo, attira anche sentimenti acri che, nei termini usati da un rapporto di una catena televisiva, si possono configurare addirittura come «odio».
Non la possono vedere, naturalmente i repubblicani (2 su 3 hanno confessato che andrebbero alle urne anche solo per votarle contro), ma anche una buona metà degli «indipendenti», la maggioranza degli uomini adulti e soprattutto dei giovani di ambo i sessi. Al termine di uno dei tanti dibattiti nellIowa, un cronista della Washington Post ha intervistato una manciata di elettori che avevano seguito levento insieme, chiusi in una stanza con panini e birra a disposizione. Queste «giurie» sono ormai una tradizione delle campagna Usa: nel gergo politico si chiamano «focus group», un gruppo che serve per «mettere a fuoco» le reazioni e le intenzioni. In sostanza hanno detto tutti la stessa cosa: «È una grande lavoratrice». «È molto brava a dire quello che pensa che noi pensiamo». «Farebbe un ottimo lavoro ma ha troppa voglia di vincere». «Non mi piace».
Neanche di Giuliani dicono delle cose così, anche se molti le pensano. E poi Giuliani non deve accattivarsi la gente: deve e vuole soltanto caricare di rabbia i non pochi che la pensano come lui. Ma di piacere in qualche modo una donna ha più bisogno, anche una femminista di antica milizia come Hillary, cui piace tanto vincere e altrettanto comandare. Nel suo modo di fare, insomma, cè qualcosa che non va. Se nerano accorti tutti, tranne Hillary e i suoi consiglieri professionisti, fra cui un giovane che ambisce a essere il contrappeso democratico dello spietato e bravissimo Karl Rove. Per fortuna di lei se nè accorto Bill, il marito, luomo che se fosse candidato arriverebbe alla Casa Bianca in carrozza. E Bill, forse per la prima volta da quando scandaletti ormai remoti lhanno posto nei confronti della moglie in una posizione di debitore permanente, ha alzato la voce. «Lìberati - deve aver detto pressappoco - di certa gente che ti fa perdere e lascia fare a me».
Lei lo ha ascoltato ed è in corso una piccola epurazione nel suo staff. Consegna: apparire meno certa di vincere, anzi un po più debole in modo da attirare qualche simpatia intinta perfino di tenerezza. Altrimenti si comincerà a dire di lei come ai suoi tempi di Margaret Thatcher: «Peccato che non abbia un cuore». «Maggie» vinse lo stesso, perché aveva di fronte qualcuno di cui si diceva «peccato che non abbia un cervello».
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