«Un errore la lotta alle istituzioni»

La giornalista e scrittrice: «Ma i riformisti devono trovare un rapporto con i movimenti e dialogare con i propri militanti»

«Un errore la lotta alle istituzioni»

da Roma

Lucia Annunziata lo riassume così, con qualcosa che pare un sospiro rassegnato nella voce: «La divaricazione tra le due sinistre, tra riformisti e radicali, tra chi “si oppone” e chi è accusato di “inciuciare” che in queste ore turba l’Unione è nata nel 1977, è figlia di quel tempo, è addirittura incarnata nelle stesse persone fisiche. L’antiamericanismo di oggi, se possibile, è più ottuso e ideologico di quello di ieri». La Annunziata, editorialista de La Stampa e Raitre, ex presidente Rai, e ex militante extraparlamentare negli anni Settanta, ha scritto un libro (1977, Einaudi) a metà strada fra saggio, diario ragionato e documento, e che letto in questi giorni produce uno strano effetto di déjà vu. Tutto pare già visto, già accaduto: è un libro su ieri che racconta uno storia di oggi, che spiega qualcosa sulle due sinistre che non riescono a parlarsi.
Descrivi il «1977» come un anno paradigmatico, perchè?
«È in quell’anno che l’onda lunga delle sinistre coronata dalla vittoria del 1976 si rompe. È nella polemica contro il compromesso storico che nasce la crociata che dura ancora oggi contro l’inciucio (allora questa parola non si usava), è nel 1977 che la sinistra radicale inizia ad affermare che la purezza può esistere solo fuori dalle istituzioni».
Lotte anti-Nato oggi e ieri.
«Mi pare che ci sia addirittura un salto di qualità. La sinistra radicale di oggi è molto più involuta nel suo antiamericanismo. Nel 1976 Berlinguer arrivò a dire che sotto l’ombrello della Nato si sentiva più sicuro, e persino nei gruppi era forte il mito dell’“altra America”: Easy rider e i figli dei fiori, la beat generation... ora prevale su tutto una chiusura ideologica aprioristica».
In quell’anno, dici, si celebrò un parricidio generazionale. Che significa?
«In realtà, si tratta di un doppio parricidio: la famiglia di sinistra uccise suo padre nel Pci e la famiglia democristiana uccise suo padre, nel corpo di Aldo Moro».
Il 1977 è la fine degli anni 70?
«No, l’inizio degli Ottanta, una stagione che dura ancora: lo scontro fra istituzionali e radicali, riformisti e alternativi, compromesso e purismo, politica e antipolitica... È già tutto lì».
E i «riformisti» di ieri?
«Il Pci fu sconfitto due volte: perchè non portò a compimento la sua vittoria elettorale, e perchè fu costretto a entrare nel governo senza entrarci davvero».
C’è un capitolo dedicato al termine diciannovismo, con cui il Pci bollava i ribelli di sinistra.
«Anche i diciannovisti furono sconfitti. Prima cacciarono il Pci dalle piazze. Poi la Fgci. Poi il Pdup, e poi, dopo l’omicidio Casalegno, anche Lotta continua fu costretta a mollare. E l’unica presenza rimase quella di Autonomia operaia».
Citi, nel libro «la formazione» della Fgci di D’Alema e Veltroni, che è quasi la stessa del partito democratico....
«Sì, quel gruppo, nella Fgci e nella rivista Città futura, è ancora l’ossatura dei Ds di oggi: D’Alema, Veltroni, Bassolino, Domenici, Bettini, la Turco... persino gente che oggi è fuori come Federico Rampini, Gregorio Paolini o Claudio Velardi, e persino Nando Adornato, oggi a destra».
C’è una lezione del 1977 per i radicali di oggi?
«Che quando si inizia a fare la lotta alle istituzioni poi non si arriva da nessuna parte».
E una utile per i riformisti?
«Se abbandoni la piazza perdi. Allora i riformisti si ritirarono nella politica e persero ogni rapporto con i movimenti».
Facciamo un esempio.
«Se sei a favore della base americana, penso a Fassino o D’Alema, non basta dirlo: la sinistra non può rinunciare a parlare alla società civile, a convincere il suo popolo».
Cosa del 1977 ti spaventa?
«La rottura avvenne con un processo Fu una rivoluzione culturale all’italiana. Ma chi c’era sa che sulla violenza, anche solo verbale, non ci possono essere ambiguità. Perchè nel 1977, come ricordo, subito dopo il linguaggio della violenza arrivò quello delle armi».
Cosa invece è cambiato?
«I rapporti di forza.

Allora i movimentisti, erano padroni assoluti in piazza. Nelle urne, non raggiungevano l’1.5!».
E i riformisti?
«Avevamo perso l’egemonia, ma nelle urne il Pci, da solo era al 34%... Dà l’idea di come oggi, Ds e Margherita siano fragili».

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