Altri 687 islamici a morte. Pulizia etnica per sentenza

Le pene capitali inflitte ai seguaci del leader deposto Morsi danneggiano la lotta al radicalismo con mezzi civili e legali

Più che aiutare la lotta contro l'islamismo estremo di cui la Fratellanza Musulmana è certamente il più importante esponente, condanne come quella che ieri ha emanato un trubunale egiziano a Minya danneggiano ogni possibilità di batterlo con un atteggiamento civile e legale, e mostrano il Medio Oriente come quella folle polveriera in cui la stabilità il buon senso sono ormai un'opzione impossibile. Ieri un giudice egiziano ha condannato a morte, tutti insieme, 687 imputati ritenuti sostenitori della parte dell'ex presidente e adepto della Fratellanza Mohammed Morsi, cacciato nel luglio scorso dopo una serie di mosse estremiste e errori marchiani. La condanna è motivata da atti di violenza e dall'omicidio di un poliziotto da parte dei militanti della Fratellanza nella protesta contro il rovesciamento del loro leader. La drammatica eruzione di scontento che lo espulse dal potere fu accompagnata a sua tempo da una rivoluzione popolare, che col sostegno dell'esercito comandato da Abdel Fattah el Sisi ha portato alla presa del potere degli avversari di Morsi. El Sisi, un cinquantenne intraprendente e amato dalla sua gente si sente ormai sulla scia dei poteri sempiterni tipici dell'Egitto, come quello dei Faraoni o più semplicemente di Hosni Mubarak; si è dimesso dal ruolo di capo dell'esercito per candidarsi alle elezioni che avranno luogo il 26 e il 27 del prossimo mese di maggio. Per preparare la strada, Sisi ha applicato, con l'aiuto dei giudici e delle forze dell'ordine, la più dura legge del taglione: i Fratelli Musulmani sono fuorilegge, la respressione è senza regole, le condanne fioccano.

Già nel mese di marzo in un caso simile sono state condannate a morte 529 imputati. Ma la sentenza è stata successivamente sottoposta al Gran Mufti che ne ha trasformato 490 in detenzioni a vita. È probabile che anche le condanne di ieri abbiano la stessa sorte una volta sottoposte al mufti. Tuttavia la sequenza delle centinaia di condanne a morte segnala l'intenzione di usare i tribunali alla maniera dei totalitarismi per operare purghe di stato a fianco di una polizia e di un esercito decisi a tenere il terreno pulito sulla strada delle prossime elezioni che incoroneranno Sisi. L'ex generale ha portato alla commissione che valuta le ammissioni dei candidati 188mila firme invece delle 25mila richieste. È disposto a presentarsi al giudizio delle urne solo un altro personaggio, Hamden Sabahi, un socialista che non ha nessuna possibilità di battere il generale. La strada che le condanne percorrono è tipica di un modo di percepire i conflitti che vediamo oggi diffusa nel Medio Oriente islamico: il nemico non è un interlocutore con cui è possibile raggiungere un compromesso. Il compromesso fa parte della nostra cultura, mentre, come per esempio si vede fra le due parti che in Siria vivono un genocidio quotidiano con 160mila morti, il nemico deve essere messo in ginocchio soppresso.

È per questo che il giudice non ha esitato a condannare a morte, fra gli altri, anche il capo supremo, il leader spirituale della Fratellanza musulmana Mohammed Badie, un clerico settantenne che è gia stato in prigione diverse volte, e Sadat che lo rimise in libertà, è stato assassinato da gruppi legati alla Fratellanza. Badie è il secondo grande condannato a morte nella catena dei martiri della Fratellanza Musulmana: il primo fu il grande ideologo Sayyd Qutb, una leggenda, un punto di ispirazione, che Badie ha accompagnato per un tratto della vita e di cui è l'erede spirituale. Dpo la decisione del Mufti la corte terrà un'altra sessione il 21 giugno per emanare il giudizio definitivo. Le famiglie dei condannati hanno reagito con la disperazione che naturalmente accompagna decisioni così terribili. Una donna di nome Samiya gridava davanti alla Corte: «Ho tre figli là dentro, non mi rimane che Dio». Un avvocato denunciava alla stampa il fatto:«È un comportamento fuori legge», e ricordava come praticamente agli imputati non sia stata data nessuna possibilità di difendersi. Intato l'Onu, gli Usa, l'Unione Europea, protestavano, e Amnesty International dichiarava la sentenza «grottesca». Ma l'aggettivo non vale per il Medio Oriente.

Non è forse grottesco tutto quello che avviene in Siria, in Iraq, in Yemen, in Libia? Non è incredibile che quella che a noi è sembrata una rivoluzione degna di essere chiamata «primavera» si sia trasformata in un'orgia di prepotenza e di sangue? Non è un caso che proprio adesso, che Obama ha riaperto la porta, dopo avergliela sbattuta in faccia, al generale Sisi, si stia creando una situazione in cui Sisi stesso mostra i denti. E in questo scenario Obama non ne fa una giusta.

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