Brasile indignado, rischia pure il calcio

Un milione in piazza, due vittime. Mezza Seleçao e tanti vip si schierano con chi protesta per le riforme sociali

Brasile indignado, rischia pure il calcio

C'è un uomo solo al comando, anzi, una donna, e la strada da percorrere è tutta in salita. La presidentessa Dilma Rousseff si è arroccata nel Palacio da Alvorada per studiare le misure urgenti da adottare, mentre un milione di persone si è riversato nelle strade per chiedere un Brasile migliore. Il nuovo gigante dell'economia mondiale, quello che fino a pochi giorni fa veniva considerato il più minaccioso competitor della Cina, appare un pigmeo di fronte alla forza d'urto degli indignados che sfilano a Rio, Sao Paulo, Salvador de Bahia o Brasilia.

Non si tratta più di una protesta innescata dal rincaro, dell'equivalente di sette centesimi, del biglietto dei mezzi pubblici. È davvero sola al comando «dona Dilma», mentre il popolo, dagli abitanti delle favelas, ai giovani laureati, passando persino a calciatori, scrittori e cantanti, chiede una riforma seria del sistema sanitario, di quello scolastico e un aumento dei salari. Il governo viene accusato anche di sperpero di denaro per gli eventi sportivi dei prossimi anni. Rio de Janeiro è davvero l'ombelico del mondo tra Confederation Cup, in corso di svolgimento, Coppa del Mondo di calcio tra un anno e Olimpiadi nel 2016. Ed è stata la Confederation Cup che, ironia della sorte, si è rivelata un boomerang. Non potevano chiedere di meglio che la presenza delle telecamere di tutto il mondo i manifestanti per dar vita alle proteste, non sempre pacifiche a dire il vero. A Rio dato alle fiamme un pullmino della tv Sbt e feriti cinque tra giornalisti e operatori. A Brasilia decine di migliaia di persone si sono accampate davanti al Parlamento mentre molotov sono state lanciate contro la sede del ministero degli Esteri e allarmi di ordigni sono scattati nei dicasteri di Cultura e Ambiente.

Purtroppo ieri c'è anche scappato il morto, anzi due. A Riberao Preto, nello Stato di San Paolo, un giovane manifestante è rimasto ucciso, travolto da una vettura guidata da un uomo che ha sfondato una barricata. E una seconda vittima tra i manifestanti è stata provocata da un infarto.

Nulla sembra fermare gli indignados, che possono contare sull'appoggio, incondizionato, di molti volti noti del Brasile. I calciatori, ad esempio, sono passati dall'altra parte della barricata: sono loro a tifare per chi chiede in piazza le dimissioni della Rousseff. Dice Hulk, attaccante dello Zenit e della Selecao: «Vendevo carne per strada con mio padre. La corruzione sta annientando il popolo». Gi fa eco il gioiello Neymar: «Voglio un Brasile più giusto, più sicuro, più sano e più onesto». La censura arriva invece dal direttore generale Carlos Alberto Parreira, che minaccia: «chi protesta perderà la maglia della nazionale». Pelè nel frattempo ha fatto autogol, sostenendo che la Confederation e i Mondiali «sono più importanti della gente nelle strade», salvo poi scusarsi. Ma gente come i cantanti Caetano Veloso e Gustavvo Lima o la modella Gisele Bundchen sottolineano di identificarsi «con i manifestanti e con le loro richieste». Persino Paulo Coelho, scrittore e coscienza civile del paese, invia un tweet che recita: «Evviva chi combatte per un Brasile migliore!». Quasi tutte dichiarazioni raccolte attraverso i social network, perché la stampa brasiliana è in vena di censure e la parola d'ordine sembra essere «prima il pallone». E la Fifa pare voler seguire la stessa linea: stasera in un ambiente davvero teso e militarizzato, alle 21 (le 16 in Brasile), si giocherà Brasile-Italia. Ma per la Federazione «the show must go on» e anche la nazionale azzurra non vuole fare le valige.

Ieri però, per la prima volta, la Fifa avrebbe fatto la voce grossa con Dilma, chiedendo più sicurezza sotto minaccia di scippare al Paese il mondiale del 2014, se la Confederation dovesse essere interrotta. E non basta: se il caos non dovesse fermarsi, potrebbe essere in forse anche la visita del Papa il 22 luglio.

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