Cameron torna alla Thatcher: tagli al welfare e altolà all'Ue

Cameron torna alla Thatcher: tagli al welfare e altolà all'Ue

A mali estremi, estremi rimedi. Nel mezzo di una nuova recessione, con i sondaggi impietosi che pesano come un macigno sul partito di governo e sul suo leader - 14 punti di distacco fra i Tory al 31% e il Labour al 45% - David Cameron rompe due promesse: il suo conservatorismo diventa meno «compassionevole» di quello che lo ha portato alla vittoria nel 2010 e il suo nome entra in Twitter nonostante l'intenzione, espressa tre anni fa, di tenersi lontano dal social network.
Eppure da ieri il premier inglese vuole farsi un po' più Thatcher e un po' meno Blair per dare al Paese l'immagine del leader responsabile, che prende decisioni difficili, anche se impopolari. E nelle interviste rilasciate a poche ore dall'apertura del Congresso dei Conservatori in corso a Birmingham rievoca la celebre frase di Maggie - the lady's not for turning - per dire che anche lui non è capo da marce indietro e che su due questioni cruciali, il taglio al deficit e la difesa della sovranità britannica in Europa, non arretrerà. Un modo per giustificare i suoi due annunci cruciali. Il primo: i tagli alla spesa, inizialmente pianificati sui cinque anni, ne prenderanno almeno dieci e includeranno tagli al welfare (16 miliardi nel biennio 2015-2016) per ridurre a zero, entro il 2017, il deficit salito l'anno scorso al picco record dell'11% e che dovrebbe scendere quest'anno al 5,8%. Il secondo: la linea del Regno Unito in Europa sarà inflessibile e senza un buon accordo il premier metterà il veto sul nuovo budget 2014-2020 che l'Unione europea si appresta a negoziare (così come ha fatto l'anno scorso tenendo fuori il suo Paese dal Fiscal Compact) perché ritiene «scandaloso» il tentativo di aumentare i fondi già raccolti.
Cameron si fa un po' più Thatcher e un po' meno Blair anche per strizzare l'occhio all'anima più conservatrice dei Tory, quella che non ha ancora digerito i suoi annunci sui matrimoni gay, che vuole una dieta drastica alla spesa pubblica, che chiede un referendum sull'Europa - alla quale si rifiuta di concedere altra liquidità - e che vuole che il primo ministro si smarchi dagli alleati LibDem per dare al governo un'impronta netta e consentire ai Tory di presentarsi alle prossime elezioni senza annacquature, per poter governare da soli. Ed è a quell'ala dura del partito che ieri il premier ha fatto un altro regalo: pur ammettendo la necessità di alzare le tasse ai benestanti, ha servito su un piatto d'argento il no alla «mansion tax», la tassa chiesta dai LibDem sulle proprietà con un valore superiore ai 2 milioni di sterline. Lacrime e sangue, dunque, ma non per i ricchi, come ha invece promesso qualche giorno fa il leader dell'opposizione Ed Miliband. Lacrime e sangue per raccogliere altri 30 miliardi di sterline entro il 2017 e vedere la fine dal tunnel dell'austerity, una fine che per sua stessa ammissione non arriverà prima del 2020. Con l'obiettivo di incassare i meriti che, nonostante le durissime contestazioni, regalarono infine a Margaret Thatcher il successo elettorale.
Eppure Cameron sembra ora parecchio lontano dai traguardi personali della Thatcher. La leadership del premier è offuscata dalla crisi economica, ancora durissima, dagli scandali che lo hanno sfiorato (ieri 50 vittime delle intercettazioni telefoniche dei giornali di Murdoch gli hanno scritto infuriati, chiedendo l'adozione di regole più severe per la stampa). Il governo non è riuscito ancora nell'impresa di abbattere quel giudizio - o pregiudizio - sulla sua composizione troppo snob, che lo condurrebbe a difendere i privilegi dei pochi contro gli interessi dei molti. Ma c'è un altro elemento, che rende il lavoro di Cameron ancora più difficile. Al Congresso in corso a Birmingham, l'intervento più atteso è quello del sindaco di Londra Boris Johnson. Alleato di partito ma rivale interno, Boris il biondo sembra a tutti il naturale successore di Cameron in vista delle elezioni del 2014-2015.

L'unico che potrebbe drenare voti al centro e convincere gli indecisi: ne è convinto il 62% degli elettori Tory secondo un sondaggio Today's Opinion per l'Observer. E potrebbe convincersi presto la maggioranza degli inglesi: il 51% ha un'opinione favorevole di Johnson mentre il 50% ne ha una sfavorevole di Cameron. Un pessimo presagio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica