La ruggine fra Israele e la BBC che nella sua copertura quotidiana delle Olimpiadi di Londra ha menzionato Gerusalemme come capitale della Palestina e Israele unico fra tutti i Paesi partecipanti - come Paese senza capitale non è nuova. Più volte la grande emittente britannica ha dovuto riconoscere il «disequilibrio» fra la presentazione di notizie concernenti Israele e quelle degli arabi.
Gli attentatori suicidi sono combattenti radicali; i militari utenti di «violenza eccessiva» nel rispondere a 4.000 razzi lanciati da Gaza contro il proprio territorio. Per la prima volta nella popolarissima serie dei BBC Promenade Concerts l’emittente inglese ha rifiutato di trasmettere un concerto (dell’Orchestra filarmonica israeliana) per pressione araba.
L’atteggiamento «equanime» della BBC non è che un aspetto del rovente clima anti israeliano intellettuale e di sinistra inglese ma non solo. Israele «è uno stato di feccia» per il direttore di Amnisty Frank Johansson. Il canale 4 ha offerto agli ascoltatori un intero programma intitolato «Dentro la lobby israeliana britannica» che dovrebbe dominare il partito conservatore. Un tema in voga dopo il successo del libro di due professori di Harvard, J.
Mearsheimer e S. Walt «Il Lobby Israeliano che sarebbe la «coda» che fa muovere il cane politico americano. Oggi è diventato facile pubblicare libri, non importa di che valore, a condizione che denigrino Israele.
I sindacati degli insegnati della scuole inglesi chiedono di boicottare Israele; molte università si oppongono alla presenza di professori e di dottorandi israeliani; nonostante le promesse del governo militari di alto grado e addirittura l’ex ministro degli esteri e ex capo del partito di opposizione Kadima Zipi Livne hanno rinunciato a recarsi in Inghilterra per tema di essere arrestati su azione legale mossa contro di loro per violazione di diritti umani (palestinesi). L’aver ora accentuato i pericoli che la presenza degli atleti israeliani può causare alle olimpiadi è dettato non solo dalla antipatia che molti media inglesi sviluppano per Israele ma dal fatto che il sistema incaricato di garantire la sicurezza di questo grande avvenimento sportivo si è rivelato a detta dagli inglesi stessi «fallimentare». Il personale reclutato attraverso una compagnia di sicurezza privata soprattutto fra disoccupati di origine straniera si dimostrato impreparato, incapaci di seguire le istruzioni di allarme, di rimanere sveglio in servizio. I dirigenti della società in questione si sono ufficialmente scusati e hanno promesso di intensificare i corsi di istruzioni. Il bisogno di mettere le mani avanti facendo di Israele un capo espiatorio per tutti i problemi di sicurezza che potrebbero verificarsi è diventato pressoché istintivo. Il caso inglese non è del resto ne nuovo ne unico. Il tribunale Russel per i «crimini di guerra» che non ha mandato dell’ONU è la più potente lobby politica culturale, legale contro Israele pieno di Premi Nobel (José Saramago ha paragonato Ramallah a Auschwitz) mentre per Michel Warschawski «Israele è un ghetto super armato di immensa paranoia e bombe atomiche». Se Obama non sarà rieletto la colpa sarà della Lobby ebraica.
C’è qualche cosa di profondo in questo anti isrealianismo serpeggiante un po' ovunque: l'invidia per Israele e la rabbia di dover riconoscere di aver torto. Il conflitto palestinese si rivela non essere la causa delle convulsioni del mondo arabo; la teoria di Obama secondo la quale stendendo la mano al mondo arabo musulmano questo diventa - come prevedeva il presidente americano nel suo famoso discorso del Cairo nel 2008- meno anti occidentale e anti americana si è dimostrata fallace. È irresponsabile pretendere da Israele di fare «concessioni» a Palestinesi sempre più divisi e che rifiutando di negoziare con Israele hanno probabilmente sperperato l'appoggio della amministrazione americana più favorevole nella loro storia. Ma tutto questo sembra meno importante dell'irritante fatto del fiorire di Israele nel mezzo alle catastrofi del mondo arabo musulmano. Non è certo una situazione comoda o sicura per uno stato degli ebrei oggetto da settarismo mediatico, da continue domande di sanzioni, e da distorsioni accademiche. Ma per due nemici «viscerali» di Israele - Turchia e Iran - l’anno in corso è stato disastroso col dilagare di un islamismo sunnita che in Libia, Egitto, Siria non sente bisogno di seguire il modello non arabo turco e ancor meno quello shiita persiano. La guerra civile in Siria sta distruggendo il paese-cuore del nazionalismo arabo senza rimpiazzarlo con alternative di potere che non siano tribali, anti occidentali, anti cristiane. Non è dai guai altrui che Israele può trarre sicurezza. Ma il suo sviluppo economico in mezzo alla crisi mondiale, la solidità del suo sistema democratico e legale, il rifiuto del milione e mezzo dei cittadini arabi di passare sotto controllo di un eventuale stato palestinese, lo piazza come il solo paese del Medio oriente in cui le minoranze etniche -religiose si sentono protette.
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